1997

1997

  • Ariminum, Giovanni Rimondini: Prima Castelsismondo, poi "il Poletti" com'era [1.3.1997]

    PRIMA CASTEL SISMONDO POI IL “POLETTI” COM’ERA

    Perché declassare uno dei quattro maggiori monumenti cittadini?

    Di Giovanni Rimondini

    Il brutto pasticcio della ricostruzione del Teatro Galli ha inizio con il bando di concorso del 1985. Gli amministratori del tempo rovesciano in modo insensato l’ordine dei valori culturali, prescrivendo in appendice al compimento del principale obiettivo, la ricostruzione del Teatro, uno studio di sistemazione di piazza Malatesta e di Castel Sismondo, la più importante delle fortificazioni malatestiane che coprono un’area geografica interregionale, tra Bertinoro, Borgo S. Sepolcro e Ancona.

    La “sua” piazza, piazza Malatesta, è vittima di un pregiudizio diffuso che disprezza il suo spazio irregolare e la considera informe e priva di valore urbanistico. Questo pregiudizio è nato con i piani regolatori degli anni ’30, redatti da operatori che attribuivano valore solo agli spazi urbani regolari e geometrici. L’unico criterio di comprensione di questi urbanisti consisteva nel prevedere allargamenti e rettifili, nel correggere quindi gli andamenti leggermente curvilinei delle vie riminesi.

    Leon Battista Alberti, invece, si era espresso in favore di queste tipologie ad ansa di fiume, valorizzando gli spazi irregolari. Ai grandi prospettici del Rinascimento non va attribuito il delirio geometrico degli architetti “giacobini” e dei loro epigoni fascisti e razionalisti. Piazza Malatesta è l’unico spazio urbano dipinto dal vero da Piero della Francesca nell’affresco del Tempio Malatestiano. Il grande pittore rivela la “logica” della piazza: inquadrare la veduta del Castello. La forma originale di piazza Malatesta, ad imbuto, richiama il ventaglio di raggi visivi di un cannocchiale prospettico.

    Nel corso dei secoli l’area della piazza è stata diminuita e parzialmente trasformata. Nel secondo decennio dell’800, con il riempimento del fossato del castello, modellato come grande anfiteatro di mattoni, e il seppellimento della prima cinta di mura e torri, la piazza perde le altimetrie quattrocentesche. La prima cinta con lo “spalto” – caratteristica ossidionale tipica dei castelli di Sigismondo Pandolfo Malatesta – formava la “prima rocca”.

    Cesare Clementini ricorda che Castel Sismondo era compartimentato in tre rocche. La “seconda rocca” è la parte del Castello che vediamo: ma le sue torri sono state capitozzate dal Valentino e nel ‘600. Una torre è andata distrutta: bisognerebbe ricostruirla. La “terza rocca” era l’alto Mastio, distrutto in epoca imprecisabile.

    Nel progetto di ricostruzione del teatro di Adolfo Natalini e soci indigeni, vincitore del concorso, adottato con d.c. nel 1987, si sistemava Castel Sismondo dentro un fossato circolare, scavato nell’area della prima rocca, con imperdonabile disprezzo della storia e dell’integrità del monumento, alla cui ideazione aveva contribuito il sommo Brunelleschi. Il nuovo Teatro, lunghissimo, “strizzato”, con le due ali dell’arena arrivata fin quasi all’ingresso del Castello. Il resto della piazza, trasformato in due rettilinei, veniva destinato alla lottizzazione. Per fortuna esisteva un decreto ministeriale del 1915 che fissava l’area di rispetto del Castello – decreto da me rinvenuto durante lavori di sistemazione dell’archivio della Sovrintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna - .

    Il primo progetto Natalini venne respinto dalle Soprintendenza proprio perché violava l’area di rispetto del Castello. Gli stessi architetti ebbero l’incarico per un secondo progetto di rifacimento del Teatro, nel 1994. Ripetendo l’errore che aveva invalidato il primo disegno, questi “impuniti” di nuovo progettavano di invadere l’area “proibita” del Castello, coprendone il fossato (una volta riaperto, come prevede il piano regolatore di benevolo), con una piattaforma lignea sorretta da pilastri in cemento. Fatta propria l’idea invasiva, “futurista” di far costruire il Teatro sopra Castel Sismondo, il sindaco Giuseppe Chicchi, con l’appoggio della minoranza consiliare e le simpatie della redazione cittadina del Carlino, avvicinava notabili romani e ministri dei Beni Culturali per far “saltare” il decreto di protezione del Castello – al quale nel frattempo se ne erano aggiunti altri due; uno della Soprintendenza archeologica; l’altro della Soprintendenza di Ravenna per proteggere ciò che resta del teatro ottocentesco -.

    In sostanza, il sindaco si dava da fare per declassare uno dei quattro monumenti cittadini. Si dice, al momento in cui scrivo, che ci sarebbero delle novità circa un terzo progetto di ricostruzione del Teatro.

    Personalmente, ritengo che la “naturale” ricostruzione del Teatro Galli sia il ripristino del “pozzo”, cioè della sala originale, e del palco, seguendo i disegni di Luigi Poletti conservati a Modena. La nuova Scuola romana di restauro architettonico di Paolo Marconi sostiene, con una bella immagine musicale, che i disegni di un’opera architettonica sono come uno spartito musicale: possono essere “eseguiti” più volte. L’architettura di un teatro d’opera italiano, del resto, è come la struttura di un violino, va riprodotta come vuole la tradizione e non reinventata secondo i capricci degli architetti.

    Così è stato fatto per la Scala, e così si farà per la Fenice.

    Giovanni Rimondini

    [Giovanni Rimondini, Prima Castel Sismondo poi il “Poletti” com’era, Ariminum, (Rimini) III- aprile 1997].

  • Ariminum, Giuseppe Chicchi: Basta con le polemiche! Nel 2000 avremo il Teatro [1.3.1997]

    BASTA CON LE POLEMICHE!

    NELL’ANNO 2000 AVREMO IL TEATRO

    PARLA GIUSEPPE CHICCHI

     

    Posso aprire questo breve intervento informando i lettori che nell’estate che sta avvicina dosi cominceremo i lavori di ricostruzione del Teatro Galli. Il primo lotto riguarderà il restauro della Sala Ressi e il consolidamento statico della parte storica dell’edificio del Poletti, per un importo di 5.340 milioni (1.750 dello Stato; 900 dalla Regione; 2.690 dal Comune). Direi che questa è la notizia, poiché dopo cinquant’anni dal bombardamento che ha semidistrutto il nostro splendido Teatro, finalmente si determina un fatto nuovo, un’inversione di tendenza.

    Il secondo lotto di lavori partirà nella seconda metà del ’98; la conclusione è prevista per la fine dell’anno 2000.

    La concretezza di questo percorso si basa su dati di fatto: la solidità del bilancio comunale determina una buona capacità di investimento che, se sostenuta dalla capacità progettuale, garantisce il raggiungimento del principale obiettivo della mia amministrazione, la realizzazione di quelle grandi infrastrutture (fra cui il Teatro Galli) che garantiranno il futuro della nostra città. Questo è l’impegno preso con gli elettori intendo mantenerlo.

    In questo momento il gruppo Natalini sta lavorando al progetto definitivo del Galli e lo sta facendo sulla base del Ministero dei beni Culturali che comportano modifiche al progetto originale al fine di non interferire con i vincoli esistenti. Quindi, per favore basta con le polemiche. La soluzione progettuale in fase di elaborazione progettuale rappresenta un punto di equilibrio di fronte al quale chi vuole davvero il teatro deve rimboccarsi le maniche e, possibilmente, dare una mano.

    Castelsismondo a sua volta sarà riportato al suo splendore entro il 2000 grazie all’intervento della fondazione CARIM che ne prenderà la gestione per trent’anni facendone un qualificatissimo contenitore per grandi mostre d’arte e convegni.

    Entro il 1997 partirà anche il restauro delle mura sul lato meridionale e il recupero delle mura nell’area ex-Fiat nei pressi del ponte di Tiberio, grazie ad una permuta con i privati. Successivamente sarà scavato e restaurato il fossato per ridare slancio prospettico al grande complesso malatestiano. La scelta di ricostruire un teatro moderno e di non riproporre il progetto polettiano fu compiuta dal Comune di Rimini con il concorso di idee del 1985 e, aggiungo, fu una buona scelta. Il teatro polettiano che conteneva fra i 900 e i 1000 spettatori, con gli obblighi di sicurezza attuali non arriverebbe a 750 posti; sarebbe poco più grande del Novelli, avrebbe un apparato scenico inadeguato alle esigenze teatrali (in particolare operistiche) di oggi e un forte problema di gestione economica.

    Va detto che da un punto di vista culturale la scelta del “com’era” sarebbe stata valida per la Fenice poiché l’incendio recentissimo ha lasciato immagini e sentimenti nella memoria dei vivi. Nel caso del galli, a 50 anni dalla distruzione, si sarebbe trattato semplicemente della costruzione di un falso, una cosa disneyana con forti rischi di pacchianeria.

    Altri Paesi d’Europa ci hanno insegnato il gusto del moderno ed anche quello della contaminazione fra moderno ed antico. Dobbiamo essere consapevoli che in Italia la dimensione del patrimonio monumentale che il passato ci ha donato, vincola di più il presente, lo rende necessariamente più responsabile e più “conservatore”; ma attenti a non demonizzare il moderno, sarebbe, come se considerassimo il nostro tempo ormai incapace di creazione artistica. Sappiamo tutti che non è vero.

     

    [Il Sindaco Giuseppe Chicchi, Ariminum, 1 marzo 1997]

  • Ariminum, Liliano Faenza: "Costruiamo il Poletti, demoliamo il grattacielo"; Mario Guaraldi "Perchè non adottare "La Regina"? [1.3.1997]
  • Ariminum, pareri a confronto "Chicchi, Rimondini, Il sindaco, Lo storico" [26.3.1997]
  • Ariminum, Stefano Campana: "E' il nuovo che non mi soddisfa"; Guido Zangheri: "Palestra culturale" [1.3.1997]
  • Chiamamicittà, Giovanni Rimondini: "Giuseppe il nutritore" [3.12.1997]
  • Chiamamicittà, Nedo Zavoli: Un Teatro wagneriano? Roba da far diventare verdi un mucchio di riminesi... [3.12.1997]

    UN TEATRO WAGNERIANO? ROBA DA FAR DIVENTARE VERDI UN MUCCHIO DI RIMINESI

    Di Nedo Zavoli

    Nella varietà di sindaci, in verità tutti uguali o quasi , che si sono “abbattuti” su Rimini dal dopoguerra a questo fine secolo, c’è anche Giuseppe Chicchi che, per differenziarsi dagli altri, vuole legare il suo nome anche alla ricostruzione del teatro. E fino qui il sindaco avrebbe centrato il bersaglio giusto per assicurarsi le simpatie dei cittadini dalla quale si potrebbe aspettare futuri successi di carriera politica. Ma l’intoppo sta nel decalogo che dovrebbe guidare la realizzazione dell’opera: teatro wagneriano, 1.000 posti (almeno), tenendo conto – si spera, visto i precedenti – che il pubblico ha anche le gambe, e il progetto (ancora sconosciuto alla città) di Adolfo Natalini e suoi collaboratori, non gradito ad una associazione “Rimini Città d’Arte” destinata a fare il pieno di adesioni di quei cittadini che hanno a cuore un Vittorio Emanuele o un Amintore Galli (è pressoché uguale) “com’era e dov’era” confortati anche dal sostegno di prestigiosi nomi del mondo della cultura e dell’arte.

    I frequentatori di teatro, numerosissimi anche a Rimini, sanno quanta suggestione e altro viene a mancare in un teatro “alla moderna” al quale impropriamente si è dato il nome di wagneriano come se in Germania, in Austria, in Russia e poi un po’ in tutto il mondo, quelli più amati e in gran parte ricostruiti dopo la guerra non godessero dell’appellativo “all’italiana”. In un gioco di confronto si potrebbe ipotizzare la rappresentazione della stessa opera, per lo stesso pubblico, con gli stessi esecutori in ognuna delle componenti lo spettacolo, nel Teatro Comunale di Firenze, che il sindaco Chicchi chiamerebbe wagneriano per essere stato costruito, come intende lui, nei primi anni cinquanta del nostro secolo e, magari, il giorno dopo, nel Comunale di Bologna che nasce dai Bibbiena ed ha la sua definitiva sistemazione tra il XVIII e il XIX secolo raggiungendo uno dei vertici più alti di architettura teatrale.

    E’ fuori di dubbio che per acustica, per suggestione, e per quelle emozioni che il melodramma recupera anche dall’ambiente in cui viene proposto, il teatro di Bologna avrebbe i maggiori consensi. I fiorentini sono pienamente consapevoli di non poter reggere la gara, ma almeno si consolano con il loro bel “Teatro alla Pergola”. Al peggio sono condannati i torinesi e i genovesi che stanno già studiando di modificare i loro teatroni moderni per renderli idonei a spettacoli di qualità. Ah, quella torre scenica del Carlo Felice che incombe mostruosamente su tutta Genova, non fa pensare, con un brivido, ad una simile struttura che potrebbe essere costruita in piazza Malatesta a pochi passi da Castelsismondo?

    Ricordiamoci che nessuno ancora ci perdona quel peccato di nome grattacielo. Ma per conforto dei cittadini sembra che le soprintendenze di pertinenza non dormano e non abbiano neanche influenza le amicizie e gli abbracci politici. Renata Tebaldi che la sa lunga in fatto di teatri, in un recente incontro con alcuni membri dell’associazione “Rimini città d’arte” di cui è presidente onorario, ha messo in luce il problema dei grandi teatri che richiedono organici orchestrali così sostenuti da oscurare la voce umana se non vengono usati quei sistemi di amplificazione ormai disinvoltamente utilizzati nelle arene e anche negli stadi (vedi anche i concerti dei tenorissimi) che con gli avvenimenti artistici non hanno nulla da spartire. Ma, già, il pericolo del grande teatro da noi è scongiurato dopo lo spiedino di bocciature per i progetti presentati.

    Ora la differenza fra il Natalini e il Poletti adeguato alle nuove norme di prevenzione si aggira sui 100 posti. Poi se, pur indirettamente, si vuole associare al nuovo teatro di Rimini il nome di Wagner al quale va tutta la nostra ammirazione, sarà bene anche tener conto di un debito di riconoscenza che noi riminesi abbiamo nei confronti di Verdi che scelse la nostra città, unica nell’intera regione (anche Bologna e Parma rimasero sempre escluse dalle prime del maestro), per far nascere una nuova opera.

    Com’è noto trattasi dell’Aroldo che nel 1857 inaugurò il nuovo comunale. E qui, ecco ancora il destino di Rimini come luogo di incontri, si tenne anche a battesimo l’amicizia tra Verdi e Angelo Mariani chiamato a dirigere l’orchestra della prima stagione lirica nel neonato teatro. Un’affettuosa amicizia fatta di frequenti incontri, di collaborazioni importanti, fino a quando la bella Teresa Stolz, il più celebre soprano del momento, legata sentimentalmente a Mariani, sembrò accettare le profferte amorose di verdi facendo nascere un sentimento di vendetta nell’animo del tradito, E’ il leit-motiv di tanti drammoni ottocenteschi che diviene realtà, ma questa volta al posto di un duello o di una fattura elaborata nell’antro di una Ulrica o di una Azucena perché troppo amiche di Verdi è in una sottile azione culturale che Mariani cerca la sua soddisfazione.

    Prima ancora dell’Aida con la sua marcia trionfale è Wagner a scendere in Italia, con squilli di trombe antiverdiani guidati da Mariani, per essere proposto a Bologna, ben disposta a fare un dispetto a Verdi per la questione riminese, divenendo, oltre che grassa e dotta, anche wagneriana ma con l’utilizzo di quel teatro comunale che più italiano di così non si potrebbe immaginare. Ma dopo tutte le ragioni per le quali chi ama e chi frequenta i teatri sa di dover aderire al “dov’era e com’era” è doveroso aggiungere la necessità di un recupero per la città che va oltre il caso specifico e si dimensiona nella volontà di risarcire almeno in piccola parte, i danni subìti.

    Nedo Zavoli

    [Nedo Zavoli, Un Teatro wagneriano? Roba da far diventare Verdi un mucchio di riminesi…, Chiamamicittà, (Rimini),(17-23 dicembre 1997)].

  • Chiamamicittà: Giovanni Rimondini, Attilio Giovagnoli: Teatro, quant'è bella segretezza [24.12.1997]

    PROGETTO TEATRO: QUANT’E’ BELLA SEGRETEZZA…

    Attilio Giovagnoli e Giovanni Rimondini rispondono “a mitraglia” a quanto affermato da Aldo Villani in merito al Teatro sul N. 236 di “Chiamami Città”. Si può essere d’accordo o meno con le loro opinioni. Se però hanno ragione quando parlano della “segretezza”con cui l’Amministrazione avrebbe condotto l’intera faccenda del terzo progetto Natalini… bene, ci sembra che la pubblica opinione, ancora una volta, abbia ricevuto il suo bravo schiaffo in faccia da un poter fare tranquillamente a meno di lei.

    Continuare a rispondere punto per punto alle osservazioni del nostro risentito interlocutore farebbe arenare il dibattito in una sorta di gara a chi riesce a far perdere la faccia all’avversario. Non ci interessa questa gara infantile. Una sola cosa però dobbiamo precisare: non si può inventare la storia. A proposito del vano scale, non è vero che il piano intermedio sia stato eliminato senza il consenso del Poletti, e non è vero che il Poletti abbia abbandonato il cantiere prima della conclusione dell’opera. Noi sottoscritti abbiamo consultato nel corso di mesi le migliaia di documenti conservati nelle oltre 40 buste dell’Archivio Poletti di Modena – Giovagnoli per la sua tesi di laurea e Rimondini per l’opera polettiana di Vergiano – conosciamo assai bene tutta l’ampia e feconda vicenda del cantiere teatrale riminese, che è documentata dal 1839 fino alla strepitosa inaugurazione verdiana. Non ci sono stati abbandoni. Il Poletti ha seguito la costruzione del suo teatro fin nelle minuzie, controllando secondo il costume dei grandi architetti pontifici romani, scultori, stuccatori, pittori, arredatori con disegni d’insieme e dei particolari decorativi. Non riconosciamo dignità di storico a chi si inventa le cose per far quadrare il bilancio delle proprie fantasie. A questo signore potrà non piacere il Poletti e la facciata del suo teatro riminese: “de gusti bus”; si tratta infatti della dimensione soggettiva sua e di chiunque altro. Bisogna invece portare delle prove oggettive, relative alla storia culturale del monumento come hanno fatto Manfredo Tafuri e Pier Luigi Cervellati che non hanno pronunciato generici giudizi estetici positivi, ma hanno argomentato: il primo apprezzando le novità formali della sala del teatro riminese – l’innesto articolato della colonnata e dei palchi rientranti - nella storia del tipo del teatro all’italiana; il secondo, quando ha indicato la qualità formale della mano polettiana, avvicinando il “pensiero” di quello stesso spazio interno svasato a gradoni al “continuum spaziale” di Frank Lloyd Wright nel Guggenheim Museum di New York. Non si tratta di suggestioni soggettive generiche ma di storia delle forme.

    PER LA TORRE UN PRECEDENTE ILLUSTRE: BABELE!

    La stessa cura nel definire il “corpo” e gli spazi il Poletti dimostra anche all’esterno del nostro teatro. Nella sua identità di “purista”, ha cercato di sintetizzare le forme più eleganti del grandissimo, millenario patrimonio del classicismo, preferendo profili e proporzioni elleniche. Ma è ben sua l’eleganza del “profilare”, del modellare il corpo dell’edificio come se fosse una statua da traguardare da molte prospettive. Girate intorno alla facciata e scoprite sia il gioco degli aggetti orizzontali, sia il variare delle verticali. Guardate come la facciata si dimostri docile nell’armonizzarsi alle forme storiche della piazza e come le colonne riprendano le proporzioni gigantesche dei templi della Grecia nel colloquio coi vicini edifici di via Sigismondo. Certamente sulla validità del classicismo, questa costante formale millenaria, “nostra” e mondiale, univoca e insieme poliforma, è aperta una polemica che noi non pretendiamo di concludere. Ci basta affermare che a Rimini è conservato un monumento decisivo dell’ultimo classicismo romano pontificio che non può essere paragonato ad altre apprezzabili opere, come lo Sferisterio di Macerata, che sono solo espressioni di limitati talenti e linguaggi provinciali.

    Un’opera tanto importante della storia dell’arte italiana è oggetto, come sappiamo, di completamenti progettuali ormai all’insegna dell’improvvisazione e del pur che sia. Siamo stati informati, finalmente, che è stato presentato alla Soprintendenza di Ravenna il terzo progetto firmato da Natalini. Tagliate le ali e la piattaforma, di “grandioso” al Teatro Natalini

    È rimasta solo una torre scenica di 40 metri. Quanto sia legale questa segretezza nella gestione dei progetti e di denaro pubblici, alla faccia della “trasparenza” degli atti di governo, lo lasciamo decidere ai lettori e agli elettori. Ormai siamo alla fine di una vicenda progettuale vergognosa, che ha ignorato fin dal suo nascere la legalità e la salvaguardia dei beni culturali di Rimini del patrimonio archeologico, di CastelSismondo e delle ragioni formali e strutturali del Teatro Polettiano, insistendo con accanimento ossessivo su progetti irrealizzabili. Sarebbe veramente grottesco che da Ravenna arrivasse il placet a questo rimasuglio di teatro.

    Attilio Giovagnoli e Giovanni Rimondini 

     

    ULTIM’ORA

    Venuti a conoscenza dell’ultimo progetto di ricostruzione pseudo-moderna del Teatro Comunale Amintore Galli di Rimini, chiediamo che le autorità competenti non autorizzino quest’ultima soluzione.

    Essa non riflette, storia, forma e contenuto dell’originale teatro. E’ un’ipotesi progettuale inadeguata quanto banale. Indegna della cultura e dell’arte che hanno caratterizzato Rimini.

    Associazione Rimini città d’arte

    [Chiamamicittà 27.12.1997]

  • Fano Stampa, Cesare Carnaroli: 1998. Su il sipario. Riapre il Teatro della Fortuna a Fano [1.12.1997]
  • Nasce Rimini città d'arte "Teatro com'era, raccolta di firme" [13.9.1997]

    Rimini città d’arte

    “Chicchi e i progetti fantasma”

    “Paghi il sindaco”. 

    Riceviamo e pubblichiamo.

    Signor Direttore del “Corriere di Rimini” le scriviamo a nome dell’ “Associazione Rimini Città d’arte” per la ricostruzione filologica del Teatro di Rimini (1843-1857) di Luigi Poletti di imminente costruzione… a proposito della ricostruzione del teatro. Il sindaco chiede ai cittadini di finanziare un progetto di teatro che non esiste. Nel consiglio comunale del 27 agosto 1996 Chicchi ha fatto votare ai consiglieri il primo stralcio di lavori di un progetto “in attesa di approvazione da parte del comitato di settore del Ministero dei beni culturali”.

    Per poter far votare a quei dabbenuomini dei consiglieri la prima parte di un progetto inesistente, Chicchi ricorreva alla furbata di presentarla contemporaneamente come semplici lavori di restauro della parte storica superstite del teatro del Poletti. Non risulta ufficialmente che questo terzo o quarto o quinto progetto del teatro sia stato approvato.

    Bisogna che i cittadini ricordino tutta la storia di questo teatro fantasma di Chicchi: il concorso di idee del 1985 fu vinto dall’equipe di Adolfo Natalini comprendente alcuni architetti indigeni; il primo progetto esecutivo del disegno vincitore, di grandezza littoria con un’arena posteriore a grandi quinte architettoniche, poiché con rozza insensibilità per i valori della storia e dell’arte di Rimini, violava l’area di protezione e manometteva gravemente Castel Sismondo, venne bocciato dalla Soprintendenza nel 1987 (sulla base del Decreto Ministeriale del 4 marzo 1915).

    A questo punto scende in campo il sindaco Chicchi; sposata la causa persa del teatro nataliniano, il primo cittadino tenta di “far saltare” il decreto del 1915, che protegge uno dei quattro monumenti più importanti di Rimini, ricorrendo all’onorevole Napolitano di passaggio. Non gli riuscì di “riminizzare” Napolitano e più tardi nemmeno il ministro Paolucci. Nel frattempo era stato affidato il piano regolatore generale a Leonardo Benevolo, che si espresse pubblicamente contro il progetto di Natalini e indigeni; e si vide il sindaco Chicchi contraddire pubblicamente il “suo” progettista, uno degli architetti e degli storici dell’architettura più famosi d’Europa.

    Il versatile gruppo Natalini presentò su sollecitazione di Chicchi un secondo progetto. Questa volta le ali erano state tagliate, ma per compensare l’effetto dello “spaventoso torracchione” scenico, questi architetti “geniali” pensarono di bilanciarlo con un’arena su una struttura di assi e pilastri di cemento che attraversasse il fossato riaperto.

    Ancora una volta si violavano sia l’area del castello sia quella archeologica, protetta per l’occasione da un decreto ministeriale del 29 ottobre 1991, e la Soprintendenza bocciò anche il secondo progetto Natalini. Riteniamo che questo secondo progetto debba essere pagato non dai Riminesi, ma dal sindaco e da quanti hanno commissionato un disegno con la stessa impossibilità di realizzazione che aveva fatto bocciare il primo progetto. Chiediamo che la magistratura amministrativa apra un’inchiesta su tutto quest’affare che si avvia a costare alla comunità più di un miliardo di lire.

    Da parte sua Chicchi continuava disperatamente a cercare notabili per “far saltare” i decreti che nel frattempo erano diventati tre; il 29 aprile 1992 il Ministero del Beni culturali sanciva la salvaguardia delle strutture superstiti del teatro del Poletti; l’ultimo notabile romano da “riminizzare” sarebbe l’onorevole Veltroni, che però non risulta si sia fatto ancora “riminizzare”. In questo ultimo anno, i responsabili di questo pasticcio del teatro hanno fatto di tutto per nascondere il terzo (o quarto o quinto) progetto di Natalini e indigeni che veniva dato come in corso di revisione a Roma, a Ravenna, e… nel Museo della città, dietro fumosi appelli al cittadini come l’ultimo che avete pubblicato ieri.

    Denunciamo all’opinione pubblica il tentativo di costruire surrettiziamente a pezzi un progetto fantasma già tre o più volte scartato: sotto colore di restaurare la parte esistente del teatro polettiano, l’amministrazione comunale ha approvato un disegno che sacrifica le splendide architetture superstiti del Poletti per adattarle al progetto ignoto di Natalini e indigeni. Le magnifiche scale del teatro polettiano verranno tamponate negli intercolunni per collocarvi gli ascensori ed i cessi al servizio della nuova ignota struttura.

    Cittadini riminesi che amate i beni culturali di Rimini o che solo avete un po’ di buon senso aiutateci a fermare questa barbarie.

    In settimana daremo vita all’Associazione Rimini Città d’arte per la ricostruzione del teatro di Rimini com’era e dov’era e inizieremo una raccolta di firme per riavere intatta un’opera architettonica di prestigio europeo, l’unica possibilità per riavere un teatro e per salvaguardare i beni culturali della città.

     

    Attilio Giovagnoli e Giovanni Rimondini

    Per l’Associazione Rimini Città d’arte

     

    [Corriere di Rimini, sabato 13 settembre 1997]

  • Resto del Carlino, Silvano Cardellini: Quel teatro non s'ha da fare [21.9.1997]

    QUEL TEATRO NON S’HA DA FARE

    Nasce un’associazione per bloccare i progetti del Comune

    “Il Galli va ricostruito com’era quando lo inauguro Verdi”.

    Raccolta di firme Il teatro del Poletti com’era e dov’era!!! Lo chiede una associazione appena nata, “Rimini città d’arte”, pronta a dare battaglia per fermare la ricostruzione del teatro comunale secondo il cosiddetto progetto Natalini. L’apertura del cantiere – come ha annunciato proprio nei giorni scorsi il sindaco Giuseppe Chicchi – è fissata per la primavera del ’99 ed essi faranno seguito a quelli già aperti per il consolidamento della parte vecchia del teatro prospiciente piazza Cavour.

    L’Associazione neonata non ci sta. “A Venezia ricostruiscono la Fenice com’era e dov’era. A Bari, per il Petruzzelli, faranno altrettanto, non si spiega perché Rimini non debba tener conto della prevalente linea culturale del ripristino filologico del proprio teatro per sposare un’altra impostazione”, dichiara Attilio Giovagnoli, insegnante di storia dell’arte, presidente dell’Associazione che annovera Giovanni Rimondini, storico riminese, come vice. “Una impostazione, peraltro, che stravolge l’assetto di piazza Malatesta. Non a caso i progetti dello staff Natalini sono stati più volte respinti dalle Sovrintendenze perché lesivi dei vincoli che proteggono la rocca, la piazza e l’area archeologica sottostante. Di più. L’impostazione del Comune, poi, non corrisponde neppure a logiche economiche.Gli esempi di Ravenna, di Pesaro, di Ferrara danno conto di una gestione del teatro più conveniente senza il ricorso alle colossali torri sceniche previste”.

    L’Associazione, che indica Renata Tebaldi come presidente onorario e che ha già l’adesione formale del maestro Claudio Abbado, dello storico dell’arte Federico Zeri, di Deanna Lenzi dell’Università di Bologna, dell’urbanista Pier Luigi Cervellati e quella, verbale, del Soprintendente di Bologna Andrea Emiliani, si appresta ad uscire allo scoperto con una campagna promozionale per la raccolta di firme a sostegno delle proprie tesi. All’osservazione che il Comune ha appena avviato i lavori di consolidamento della parte vecchia del teatro per approdare all’apertura dei cantieri veri e propri della ricostruzione nella primavera del ’99, il presidente dell’Associazione replica che “c’è ancora tempo per intervenire, per fermare”. “Del resto – spiega Giovagnoli – i progetti esecutivi devono ancora arrivare in consiglio comunale per l’approvazione”.

    Secondo l’Associazione, che punta a creare un movimento d’opinione a livello nazionale per la ricostruzione del teatro com’era e dov’era, l’inaugurazione del Poletti restaurato potrebbe avvenire nel centenario della morte di Giuseppe Verdi (2001). Il maestro di Busseto scese a Rimini per inaugurare il teatro nell’estate del 1857.

    La linea del “com’era e dov’era”, è stata semplicisticamente praticata a Rimini con successo dal compianto Umberto Bartolani che l’affermò, in vita, con la fontana dei quattro cavalli e, come impresa postuma, con il ritorno della statua di Giulio Cesare in piazza Tre Martiri. Nel frattempo, quella linea ebbe a tornare alla ribalta con il problema dell’ex colonia Murri. Il partito del ripristino contro quello delle ruspe. Finì, dopo anni di dibattito, con una serie di compromessi ed un cantiere ancora bloccato. Adesso è nata un’Associazione che intende applicare il “com’era e dov’era” al teatro. Si parte con una raccolta di firme. Poi, è prevedibile, scatterà l’idea del referendum. Tutt’intorno una panna montata di possibili polemiche, che hanno tutta l’aria, però, di essere tardive. La questione teatro è in piedi a Rimini dall’85 quando fu lanciato il concorso per il progetto e quando fu scartata la scelta della ricostruzione filologica. Il dibattito che mancò allora può decollare dodici anni dopo azzerando tutto per ricominciare? Ci limitiamo a chiederlo.

    Silvano Cardellini

    [Silvano Cardellini, Quel teatro non s'ha da fare, Il Resto del Carlino, Rimini (21 settembre 1997)].

  • Rimini città d'arte scrive al ministro Walter Veltroni "Signor Ministro adesso basta!" [8.10.1997]

     

    L’Associazione “Rimini città d’arte” scrive a Walter Veltroni, Ministro dei Beni Culturali.

    SIGNOR MINISTRO, RIMINI HA Già SUBITO LA SUA PARTE DI DISTRUZIONI. ADESSO BASTA!

    Signor Ministro,

    rappresentiamo l’Associazione “Rimini Città d’Arte” per la ricostruzione del Teatro comunale di Rimini com’era e dov’era, secondo il progetto realizzato dal 1843 al 1857 dall’architetto di Gregorio XVI e di Pio IX Luigi Poletti, ultimo dei grandi architetti pontifici. Il teatro comunale purtroppo è stato colpito nel bombardamento del 28 dicembre 1943 e ha perduto la sala, o pozzetto, e il palcoscenico. Sono rimaste invece intatte la facciata, le strutture dell’atrio, delle grandiose scale, la Sala Ressi, già “teatro figlio” dove attualmente si riunisce il consiglio comunale, e gran parte del primo ordine ad archi tamponati dei fianchi. Negli anni ottanta un comitato cittadino raccolse circa 10.000 firme per la ricostruzione filologica del teatro polettiano, ma l’amministrazione comunale del tempo preferì indire un concorso nazionale di idee per la ricostruzione del teatro. I vincitori di questo concorso, il gruppo di Adolfo Natalini, presentarono un primo faraonico progetto con un teatro sotterraneo profondo 15 metri, uno “spaventoso torracchione” dell’area scenica [l’espressione appartiene a uno dei giurati del concorso] e grandi ali posteriori che dovevano delimitare un’arena estiva. Le ali di questo teatro violavano fino a pochi metri dal portale Castel Sismondo, la rocca malatestiana che contiene il palazzo di Malatesta il Centenario, dove alla fine del Duecento si era consumata la tragedia di Paolo e Francesca. Per la ricostruzione quattrocentesca di questa fortificazione, la più importante di una serie di castelli che va da Bertinoro, Cesena, ad Ancona, Ascoli, su invito di Sigismondo Pandolfo Malatesta ottavo Signore di Rimini, aveva dato i disegni nel 1438 Filippo Brunelleschi. Piero della Francesca, Agostino di Duccio, Matteo de’Pasti e altri innumerevoli artisti, l’avevano ritratto dal vero; Roberto Valturio ed altri umanisti l’avevano descritta e lodata.

    Esistendo un decreto ministeriale del 4 marzo 1915 di protezione dell’area di Castel Sismondo – un castello che ha strutture (la “prima rocca”) attualmente sepolte sotto piazza Malatesta – il progetto di fattibilità del nuovo teatro fu bocciato dalla Soprintendenza ai beni ambientali e architettonici di Ravenna. Gli stessi architetti allora allestirono un secondo progetto, ancor una volta senza tener conto del decreto del 1915, né egli atri due decreti ministeriali aggiuntisi nel frattempo, uno del 29 ottobre 1991, per la salvaguardia della città romana Ariminum, che sarebbe stata stravolta dalla voragine di 15 metri, e uno del 29 aprile 1992, per la salvaguardia del teatro polettiano.

    Leonardo Benevolo, autore dell’ultimo piano regolatore di Rimini, si era espresso pubblicamente in favore della riapertura del fossato di Castel Sismondo e contro i progetti teatrali di Natalini. Il secondo progetto di Natalini prevedeva di invadere l’area del grande fossato riaperto con una piattaforma lignea sostenuta da pilastri in cemento. Tale progetto invasivo venne bocciato dalla Soprintendenza nel 1994. Da allora il sindaco Giuseppe Chicchi si dava da fare per “far saltare” [così si è espresso e si esprime] i vincoli di protezione del castello, dell’area archeologica e delle strutture polettiane, avvicinando i notabili romani, l’onorevole Giorgio Napolitano prima, il ministro Antonio Paolucci in seguito, ma inutilmente.

    TRA POLETTI E NATALINI, IL NOSTRO VOTO VA AL PRIMO

    E’ da un anno che si sente parlare del terzo progetto di Adolfo Natalini che, da parte dell’amministrazione comunale, si dice in preparazione a Roma, presso il Suo Ministero, a Ravenna, presso la Soprintendenza, o a Rimini nel Museo della città. Nel frattempo è passata in Consiglio comunale la decisione di far partire e lavori del terzo progetto, che nessun consigliere ha mai visto, nella forma surrettizia di “restauro” delle strutture superstiti del teatro – insieme a scavi archeologici per verificare la consistenza del patrimonio archeologico da distruggere, Avendo notato che questo “restauro” prevedeva la collocazione di un ascensore e dei cessi del terzo teatro negli intercolunni del grandioso scalone del Poletti, abbiamo denunciato questa barbara operazione all’opinione pubblica. Il sindaco Giuseppe Chicchi, con sua lettera del 18 settembre ’97, ci comunicava di aver sospeso “l’esecuzione dell’ascensore e dei servizi igienici negli intercolunni delle scale elicoidali in attesa della definizione del progetto generale e degli spazi-cerniera tra la nuova costruzione e quella polettiana”.

    Caro Ministro, ora toccherà a Lei ascoltare da Giuseppe Chicchi la richiesta di “far saltare” il terzo decreto ministeriale, quello che protegge quanto è rimasto del Teatro di Luigi Poletti, per realizzare il terzo progetto di Adolfo Natalini, che si dice sarà “largo di fianchi”; e per allargare i fianchi si dovranno distruggere le solide arcate superstiti delle pareti laterali della struttura polettiana, protette dal decreto ministeriale del 29 aprile 1992. Noi vorremmo, Signor Ministro dei Beni Culturali, che Lei mantenesse quel decreto di protezione delle strutture superstiti del teatro di Luigi Poletti e che, amichevolmente, “tirasse le orecchie” a questo sindaco che continua a cercare vie traverse e clientelari per far declassare i beni culturali della sua città, e proprio da un Ministro dei beni culturali. La preghiamo di ricordare a Giuseppe Chicchi l’esempio di Antonio Bassolino e di Massimo Cacciari. Constatato che i vari progetti di Adolfo Natalini non possono dare a Rimini un teatro, ci siamo uniti per realizzare l’Associazione “Rimini Città d’Arte” per la ricostruzione del teatro com’era e dov’era e per la salvaguardia di Castel Sismondo. Ha accettato la presidenza onoraria Renata Tebaldi e subito hanno aderito Federico Zeri, Claudio Abbado, e numerose personalità del mondo dell’arte e della cultura musicale e teatrale. Ma soprattutto ci conforta a batterci per il nostro obiettivo l’entusiasmo unanime dei riminesi, giovani e anziani, che ci fanno sentire quanto la proposta di riavere intatto il vecchio teatro stia loro a cuore, e ai quali, nel mese di ottobre, chiederemo con una sottoscrizione di pronunciarsi sul progetto di ricostruzione filologica del teatro polettiano per avere la prova formale della volontà popolare di ricostruire “quel” teatro. La nostra Associazione in futuro si batterà per la salvaguardia e la valorizzazione di tutti i beni culturali di Rimini città e provincia, convinti come siamo che il rispetto per la memorie e i valori della cultura fa parte del rispetto profondo che si deve agli esseri umani e a tutte le culture che l’umanità esprime.

    Le auguriamo, Signor Ministro dei Beni Culturali, buon lavoro.

    Attilio Giovagnoli, presidente, Giovanni Rimondini, vicepresidente.

    Rimini 25 settembre 1997

    [Chiamamicittà, 8 ottobre 1997]

  • Rimini città d'arte, "Raccolta di firme per il teatro com'era" [13.9.1997]

    Ricostruzione, nasce l’Associazione Rimini citta d’arte

    “TEATRO COM’ERA” RACCOLTA DI FIRME

    Coinvolti Muti, Zeri, Abbado e Sgarbi

     

    RIMINI. Daranno vita ad una associazione, raccoglieranno firme, urleranno finché potranno che il Teatro Galli deve essere ricostruito dov’era e com’era. Attilio Giovagnoli e Giovanni Rimondini autori dell’intervento pubblicato qui a lato) il 17 settembre costituiranno l’Associazione “Rimini città d’arte” per la ricostruzione com’era e dov’era del Teatro Galli e la salvaguardia di Castel Sismondo (presidente onorario Renata Tebaldi). “L’Associazione si rivolge a tutti i cittadini che hanno a cuore due fra i massimi monumenti di Rimini: il teatro ed il castello” spiegano i promotori.

    Obiettivo? “Indurre sindaco e amministrazione comunale a procedere finalmente al ripristino filologico della sala, secondo i progetti originali del suo artefice. Il cui valore evidenziato da recenti studi e mostre è indiscutibile, tanto che la sua opera può essere considerata fra le più geniali per qualità estetiche e originalità, nella storia dell’architettura teatrale italiana dell’Ottocento”.

    Disegni e fotografie sono “testimoni”. “Dicono che l’edificio del Poletti era un tutto organico, armonico, dagli atrii agli scaloni, agli ordini dei palchi, al palcoscenico. Sarebbe un delitto stravolgerli. Tale ricostruzione rappresenta una sorta di risarcimento morale per le gravi manomissioni e devastazioni che i monumenti riminesi hanno subìto nell’ultimo cinquantenario, basti citare la demolizione del Kursaal, quella del Vescovado e di Palazzo Facchinetti, l’imperdonabile abbandono di Palazzo Lettimi, lo scempio della zona del Ponte di Tiberio, il guasto operato nel Palazzo dell’ex Aquila d’Oro”. L’associazione ha già coinvolto personalità del mondo della cultura, della musica e dell’arte: da Claudio Abbado a Federico Zeri e Riccardo Muti, fino a Vittorio Sgarbi.

     

    [Corriere di Rimini, 13 settembre 1997]

  • Teatro Galli stravolto, parte la petizione [20.9.1997]

    Rimini Città d’Arte, l’Associazione nasce e denuncia

    TEATRO GALLI STRAVOLTO PARTE LA PETIZIONE

    Aderisce anche il Soprintendente 

     

    RIMINI – Renata Tebaldi, presidente onorario. Più adesioni di Federico Zeri, Claudio Abbado, Pier Luigi Cervellati (architetto), Deanna Lenzi (docente di Storia dell’architettura all’Università di Bologna) Andrea Emiliani (Soprintendente ai Beni Artistici di Bologna).

    Mercoledì [17 settembre 1997] è nata l’Associazione Rimini Città d’Arte per la ricostruzione del Teatro Galli come era e dove era e per la salvaguardia di Castel Sismondo. Chiaro l’obiettivo. Attilio Giovagnoli (il presidente) e Giovanni Rimondini (vice) chiedono che il “Galli” sia ricostruito così come concepito da Luigi Poletti nell’800. La prossima settimana inizierà la raccolta di firme. Poi l’Associazione chiederà la ricostruzione di Palazzo Lettimi. Giovagnoli e Rimondini lottano pure contro un progetto – dicono – che non esiste.

    Raccontano: “Nel 1985 un concorso premiava un progetto ibrido del gruppo di architetti di Adolfo Natalini, un teatro lunghissimo, lo stesso Natalini lo definiva il teatro strizzato con uno spaventoso torracchione scenico a due ali che si protendeva fino a pochi metri dall’ingresso di Castel Sismondo, opera di Filippo Brunelleschi ed uno dei quattro maggiori monumenti di Rimini”.

    Due progetti vennero bocciati a causa di vincoli che tutelano piazza Malatesta. “Malgrado queste sconfitte prevedibili, che sono costate più di un miliardo, da oltre un anno si parla di un misterioso terzo progetto che nessuno ha mai visto. Il Consiglio comunale ha approvato uno stralcio di lavori di restauro della parte storica che stravolge le antiche strutture per adattarle al nuovo misterioso teatro: si prevede di tamponare i grandiosi intercolunni delle scale ottocentesche per ricavare lo spazio dell’ascensore e dei cessi. Se Rimini vuole un teatro l’unica strada è quella della sua ricostruzione filologica. Oggi l’opera di Luigi Poletti è stata studiata e apprezzata dagli studiosi di tutta Europa”. 

    [Corriere di Rimini 20 settembre 1997]