2001

2001

  • Chiamamicittà, Giovanni Rimondini: "La fine della cattedrale, ingombranti vestigia" [1.5.2001]
  • Corriere di Rimini: "Arriva Sgarbi per il Teatro com'era" [6.7.2001] Andrea Emiliani, Adriano Cavicchi

    ARRIVA VITTORIO SGARBI PER IL TEATRO COM’ERA

    Il sottosegretario ai beni culturali ha un progetto filologico per la città

    E su “Amadeus” stroncatura per l’Amministrazione

    L’ultimo rudere incomprensibile di una grande città è il teatro Galli visto attraverso gli occhi di Andrea Emiliani, storico dell’arte e intellettuale di respiro europeo, che sul numero di luglio della Rivista Amadeus dedica un ampio servizio alla storia del teatro inaugurato nel 1857 con l’Aroldo di Giuseppe Verdi. Accanto al pezzo di Emiliani, un’ipotesi per la ricostruzione del Galli firmata Adriano Cavicchi, che sposa senza indugi la tesi del “com’era, dov’era”. Non solo: a sostegno del progetto propugnato da sempre dall’associazione “Rimini città d’arte” spunta nientemeno che il sottosegretario ai beni culturali Vittorio Sgarbi, che nei prossimi giorni arriverà a Rimini con un programma filologico di interventi per la città. Il teatro è luogo che misura il livello di socialità delle città, esordisce Andrea Emiliani. E quello di Rimini, dopo le bombe del 1943 non è stato più restituito ai cittadini. Il critico stronca il progetto di ricostruzione, giudicata “brutale”, con una gradinata in cemento armato e un enorme cubo che si affaccerebbe proprio sul castello malatestiano, già abbastanza deturpato dall’asfalto del parcheggio che lo affoga. Per Emiliani inoltre l’insensato progetto verrebbe a costare assai di più di un restauro accurato ed esperto. “Chi sogna di scambiare la sala viscontiana del Poletti con un teatro multimediale e polivalente – conclude – sa benissimo che i due luoghi non sono la stessa cosa. Il multimediale si fa altrove, con viabilità opportuna e traffici veloci”. Solo ricostruendo il teatro “com’era e dov’era”, Rimini riavrebbe un capolavoro d’arte tardo neoclassica – aggiunge Cavicchi – Se lo scopo dell’amministrazione riminese è quello di accogliere eventi rock o kermesse televisive, lo spazio va trovato in zone vicine al mare e non nel centro della città”. Qualsiasi alterazione, è il monito finale, sarebbe un tradimento nei confronti della storia della città. G.G.[Corriere di Rimini, 6 luglio 2001]

  • Corriere di Rimini: La visita di Sgarbi [11.7.2001]
  • Corriere di Rimini. "Sgarbi boccia il centro storico" [10.7.2001]
  • Il Resto del Carlino: "Il ciclone Sgarbi a Rimini, via l'altare dal Tempio" [10.7.2001]
  • L'altare maggiore del Tempio Malatestiano "spostato" sotto due finestre nel 1999 e sostituito con una struttura "moderna" sia ricollocato al suo posto e così l'affresco soprastante di Piero della Francesca [9.7.2001]

    DOPO IL CASO DEL DUOMO DI PISA, È POLEMICA SULLA MANOMISSIONE NELLA CATTEDRALE. LA CHIESA SI DIFENDE: COSÌ È PIÙ FUNZIONALE

    Altare in metallo sostituisce quello di Napoleone E' in gioco la nostra storia Ogni intervento va regolato. Rimini, il cambio nel Tempio Malatestiano divide la città. Sgarbi attacca: «Restauri dissacranti» Dopo il caso del Duomo di Pisa, è polemica sulla manomissione nella cattedrale. La Chiesa si difende: così è più funzionale Altare in metallo sostituisce quello di Napoleone Rimini, il cambio nel Tempio Malatestiano divide la città. Sgarbi attacca: «Restauri dissacranti»

    DAL NOSTRO INVIATO RIMINI - Tempio Malatestiano, stupenda cattedrale riminese. Il primo comandamento è: non nominare il nome di Sgarbi. Ogni peccato può essere perdonato, purché il «peccatore» stia bene attento a non citare il neo sottosegretario ai Beni culturali. Il cronista entra in chiesa, fuori c' è il solleone, dentro la frescura dei luoghi di devozione. Domanda: perché avete sloggiato l' altare maggiore, quello storico donato da Napoleone, per mettere al suo posto uno in metallo e travertino con lo stemma vescovile? Vittorio Sgarbi ha parlato di «dissacrazioni» nei restauri, infilando anche la vostra chiesa nella «black list», insieme con il Duomo di Pisa: lo sapevate? Ah, che sgradite curiosità. Sentendo il nome del critico, il reverendo sacerdote che ha appena celebrato la messa reagisce come se avesse visto il diavolo: «Quello è venuto qui a fare del caos, dovrebbe imparare a essere meno sgarbato». Il suo sagrestano rinforza il concetto, facendo capire chiaro e tondo che non ama i cronisti e tanto meno le macchine fotografiche. In effetti, un po' di caos c' è stato: tre settimane fa, quando l' irruente sottosegretario visitò la mostra «Il potere, le arti, la guerra: lo splendore dei Malatesta». Alcune signore lo tirarono per la giacca. Non per chiedergli l' autografo, come capita spesso, ma per invitarlo a un sopralluogo artistico. Detto e fatto, Sgarbi si infilò in chiesa e rimase allibito davanti al «misfatto». Facendo partire tuoni e fulmini contro la sostituzione dell' altare. Replica stizzita del clero presente: «Doveva preavvertire della sua venuta, così l' avremmo accolta nel modo migliore». Insomma, i reverendi hanno cercato di metterla sul galateo. Adesso il vicario generale, monsignor Aldo Amati, replica: «Ognuno ha i suoi gusti, che non si discutono. Però il nuovo altare ha una migliore funzionalità liturgica: sarà bene ricordarsi che questa è una chiesa». Nella lettera-denuncia pubblicata ieri dal Corriere, Vittorio Sgarbi spiega perché i grandi luoghi storici italiani non devono essere stravolti con il nuovo, anche se firmato da un «moderno» di valore come lo scultore Giuliano Vangi (autore del pulpito nel Duomo pisano). Tutto si può dire, ma non che l' esternazione del sottosegretario sia voce nel deserto. Stanno con lui in molti. Sono il partito di «Quelli che il Tempio», che vedono il restauro come uno sfregio alla bellezza di Rimini. Uno di questi è l' esperto di antiquariato Maurizio Balena. Ce l' ha con il vescovo che «per far posto al suo stemma ha spostato Napoleone».

    Racconta l' indignazione che l' accomuna a Sgarbi, allo storico riminese Giovanni Rimondini, e «a tant' altra gente di qui». L' ammirazione per il Tempio Malatestiano è universale. Ricorda Balena: «Non c' è libro al mondo che, parlando del Rinascimento, non cominci da questo capolavoro del ' 400». Non altrettanto quella per il suo restauro. Sgarbi non se l' è presa soltanto per l' altarino comparso al posto dell' altare storico. Non gli va giù nemmeno la statua di un San Giuseppe con bambino collocata un anno fa nella terza cappella a sinistra. Rimondini lamenta che il grande Crocifisso di Giotto che sormonta l' abside sia «proprio nello spiffero dei bocchettoni del riscaldamento». Aggiunge: «Invece andrebbe protetto con cura, come in un museo. E lassù in cima, nemmeno si vede». Il vicario vescovile ribatte: «È stato messo in alto proprio per accogliere i fedeli fin dall' ingresso, dando il tono di chiesa a tutto l' edificio. E non è vero che sia a rischio per il riscaldamento. Semmai i rischi li correva quando era a portata di mano in una cappella laterale, e tutti lo toccavano». Adesso si metteranno in tanti a discutere. Ha ragione l' antiquario che parla di recupero non filologico, di eccesso di ripulitura e «marmi troppo spatinati»? È vero che la sostituzione dell' altare maggiore ha cambiato in modo arbitrario la scenografia monumentale? «Proprio no, perché l' abside è moderno, del Settecento e ricostruito nel dopoguerra», sostiene monsignor Amati. La polemica è aperta, con discussioni e contrapposizioni. Non sarà l' unica, comunque.

    Il ciclone Sgarbi si è abbattuto anche sui progetti di ricostruzione del Teatro Galli: «Si farà solo com' era e dov' era». Da Rimini ha lanciato un avvertimento: «L' architettura moderna dev' essere in periferia, il restauro accurato nel centro storico». Non gli sono piaciuti nemmeno i nuovi lampioni di piazza Tre Martiri, cuore della città, quelli che per Maurizio Balena sono soltanto «dei fiammiferi impalati lì». Insomma, ce n' è da parlare attorno alla Rimini restaurata, perché il Tempio Malatestiano (Leon Battista Alberti, 1450) è uno dei simboli della città, con l' Arco d' Augusto e il Ponte di Tiberio. Vittorio Monti Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. La vicenda I CASI Pisa: nel Duomo, un altare e un pulpito dello scultore Giuliano Vangi hanno preso il posto di balaustre e angeli del ' 500. Rimini: sostituito l' altare del Tempio Malatestiano

    LA POLEMICA Un intervento del sottosegretario ai Beni culturali Vittorio Sgarbi sul Corriere della Sera di ieri ha aperto il dibattito sul tema dei restauri e della coesistenza tra arte antica e moderna nei monumenti e nelle città d' Italia

    IL COMMENTO E' in gioco la nostra storia Ogni intervento va regolato di ARTURO CARLO QUINTAVALLE La grave manomissione del presbiterio del Duomo di Pisa fa riflettere, così come il disastro compiuto nel Tempio Malatestiano di Rimini dove è stato eliminato un altare napoleonico per inserire una «parure» di gelide, moderne, mensoline condominiali. Il possibile conflitto fra antico e nuovo non si limita all' interno delle chiese, ma è lo stesso che ritroviamo nelle piazze, nei palazzi, nel sistema intero delle nostre città. Certo, in apparenza Giuliano Vangi ha fatto una affermazione irrefutabile: anche noi, artisti moderni, vogliamo lasciare un segno, una traccia come hanno fatto tutte le età del passato. Ma non è in gioco la libertà dell' arte e tantomeno quella della Chiesa, ma il nostro rapporto con il passato, con la storia. Certo, alcuni artisti, come ad esempio Carlo Mattioli con il suo «Crocefisso» in San Miniato al Monte a Firenze, hanno saputo inserirsi con sensibilità nell' antico. Ma proviamo a portare al limite questo discorso: proviamo a pensare di inserire qualche grande, moderna scultura davanti al Palazzo della Signoria a Firenze o dentro la Loggia dei Lanzi. Esempio assurdo? Non tanto, potrebbe essere un progetto del futuro, se non stiamo in guardia. Quasi ovunque in Europa si tutelano i centri storici come sono, con estremo rigore, e questo accade persino negli Usa, come nel caso di Georgetown a Washington.

    Dunque il vero problema è fissare caratteri, funzioni ed anche limiti al restauro: quello delle città, quello degli edifici, quello degli interni. Riflettiamo su che cosa è stato il Duomo di Pisa: il simbolo di una repubblica marinara la cui dimensione, il cui spazio, era mezzo Mediterraneo; Duomo dunque come segno di un potere che dialogava con le moschee dell' altra sponda, a cominciare da Kairouan, e come la cupola pisana ancora oggi dimostra. Al tempo stesso Duomo come grandiosa piazza interna, misurata per gli abitanti della città e magari anche del contado. In questo spazio splendido, e in particolare nel presbiterio, si sono stratificate quattro culture, quella romanica fino a metà del XII secolo; quella fra Duecento e Trecento che ripensa transetto e presbiterio inserendo qui la tomba di Arrigo VII; quella di fine Quattrocento e inizi Cinquecento con il rifacimento del coro; quella tardorinascimentale che, dopo l' incendio del 1595, riorganizza le pareti e l' abside, costruisce un grande altare e fissa il limite del sistema con la splendida balaustra a tarsie marmoree. Smontando questo segno, portando via gli angeli di Giambologna, si è «sfondato» otticamente il Duomo. Interni di cattedrali, piazze storicamente configurate, antiche città sono tutti delicatissimi sistemi dove intervenire è pericoloso e difficile; ci vuole cultura e sensibilità.

    Che fare? Ripristinare al più presto non le due ma le quattro lastre medicee della balaustra e, ancor prima, stabilire una «carta» delle procedure, sempre pubbliche, di intervento sulle opere del passato.

    Monti Vittorio, Quintavalle Arturo Carlo Pagina 16
(9 luglio 2001) - Corriere della Sera

  • La Voce, Rimondini: "A rischio un'altra opera di Urbani", "Caro Ministro intervenga" [14.6.2001]
  • La Voce, Rimondini: "Caro Ministro, intervenga sui disastri di Rimini" [14.6.2001]

    “Caro Ministro, intervenga sui disastri di Rimini” Le manomissioni sui beni culturali di valore nazionale continuano da decenni L’Associazione Rimini città d’arte richiama l’attenzione del nuovo ministro dei beni culturali e dei nuovi sottosegretari sulle costanti distruzioni e manomissioni dei beni culturali riminesi di valore e interesse nazionale e internazionale che si ripetono nella città di Rimini, e sulle responsabilità dei magistrati, delle autorità comunali, delle soprintendenze locali e degli organi ministeriali romani nella catena di “riminizzazioni” dell’ultimo decennio, che sembra non aver mai fine. 1) Sulla destabilizzazione e cementificazione del grande ponte romano, già sul Marecchia, del 14-21 d.C., autore gli imperatori Augusto e Tiberio, ora a mollo in una pozzanghera maleodorante, e sulla manomissione del porto malatestiano, invaso da scale e banchine di cemento che hanno portato a Rimini il fenomeno dell’acqua alta. 2) Sulla cementificazione dell’anfiteatro romano. 3) Sulla trasformazione di piazza Tre Martiri e strade limitrofe –piazza pavimentata con selci in pietra di Pesaro dal 1861, e cubetti di porfido rosso degli anno ’30 del ‘900. 4) Sulla distruzione del giardino di piazza Ferrari, opera del 1909 di Paolito Somazzi – l’autore del Grand Hotel e del palazzo della Cassa di Risparmio-. 5) Sulla distruzione degli ultimi alberghi storici: la gravissima manomissione del palazzo già Hotel dell’Aquila d’oro – disegnato da Francesco Romagnoli, eseguita dal capomastro Onorio Meluzzi nel 1826 – completamente distrutto all’interno su commissione del comune di Rimini-; il rifacimento totale del settecentesco Albergo dei Tre Re, già della posta, sul Corso; e lo svuotamento in atto dell’Hotel dei Cavalieri, in piazza Cavour – l’ultimo albergo storico di Rimini di forme ottocentesche ma documentato fin dal ‘300, citato nelle guide americane di turismo underground. 6) Sulle gravissime manomissioni del Tempio Malatestiano, opera famosissima di Matteo de’ Pasti, Agostino di Duccio, Leon Battista Alberti progettato nel 1447-1450 – distruzione dell’altare maggiore napoleonico e degli altri laterali, restauri all’interno cromatismi sbagliati e demarmorizzazione dei rilievi in pietra d’Istria, aggiunta illegale di statue bronzee alla cappella di Apollo Musagete, trasferimento del Crocifisso di Giotto [il famoso Giotto di Firenze che tutto il mondo ci invidia!] dei primi del ‘300, in alto nell’abside, reso invisibile e collocato quasi sotto i bocchettoni dell’aria calda-. 7) Sulla grave manomissione dell’altare maggiore in legno intagliato e dorato e la completa distruzione degli altari laterali in stucco seicenteschi, compresa la rozza rimozione dei paliotti di stucco settecenteschi, della chiesa di Scolca sul colle di Covignano. 8) Sulle gravissime manomissioni di Castel Sismondo, opera autografa di Filippo Brunelleschi [il famoso Brunelleschi di Firenze, l’autore della grande cupola di santa Maria del Fiore!] del 1437 –svuotamento della torre a sinistra dell’entrata per la collocazione della centralina di riscaldamento, riempimento della torre grande verso il Marecchia con scale e ascensori, trasformazione degli spazi interni con piani in ferro per adattare il castello a ‘contenitore’, aggiunte di ciaffi araldici pseudo malatestiani-.

    9) Sulla reiterata presentazione e rigetto di progetti illegali per la ricostruzione del Teatro A.Galli –otto, o nove col “progetto condiviso”?-, opera dell’ultimo grande architetto pontificio, Luigi Poletti, del 1841-1857, semidistrutto dalla guerra –ci è toccata la vergogna di vedere il penultimo ministro ai beni culturali venire a Rimini per togliere tre decreti di protezione del Teatro originale e delle sue strutture, del Castello e della sua area, pubblicati nel 1915 e ribaditi di recente al futile fine apparente di favorire i capricci di un sindaco del suo partito. 10) Sul più volte ventilato piano di urbanizzazione del colle di Covignano. 11) Sulla privatizzazione del “Campanile di santa Colomba”, che è in realtà la Canonica del 1288, ultimo resto in Italia venduta ai francesi dal vescovo e dai canonici del tempo. Infine 12) sui furti impuniti di opere d’arte dal museo e da altri luoghi, come la poco misteriosa sottrazione della trecentesca pietra ociosa. Signor ministro e signori sottosegretari, l’Associazione Rimini Città d’arte si aspetta da voi intervento immediati ed efficaci per fermare questo imbarbarimento e perché venga risparmiata l’attribuzione a tutta la città della responsabilità della ‘riminizzazione’. Giovanni Rimondini Dell’Associazione Rimini Città d’Arte [LA VOCE, 14 giugno 2001]

  • La Voce, Rimondini: "Cattolico o pagano il Tempio è sacro" [2.8.2001]
  • La Voce, Rimondini: "Le lolite di Sigismondo" [25.3.2001]
  • La Voce, Rimondini: "Sgarbi un uomo di Governo" [1.8.2001]
  • La Voce: "Dov'era com'era alla riscossa" (2) [19.6.2001]

    DOV’ERA COM’ERA ALLA RISCOSSA

    Rimondini e Renzi: subito il bando europeo

    Ma Rosita Copioli frena: “Un compromesso intelligente è meglio che niente”

    Rimini – Passato il ciclone Sgarbi, infuria la consueta bufera intorno al teatro Galli. Le affermazioni del neo-sottosegretario ai beni culturali in visita domenica a Rimini – “teatro dov’era e com’era, progetto Natalini da buttare” – fanno esultare chi si è sempre battuto su questa linea. Giovanni Rimondini, prima di tutto, che si è visto dar ragione da Vittorio Sgarbi anche su un’altra questione, quella dell’altare del Tempio malatestiano donato da Napoleone e sostituito da uno moderno. “Finalmente – esclama Rimondini – dopo trent’anni di lotta qualcuno viene a dire la verità. Che è questa: a Rimini i beni artistici sono nelle mani di ignoranti e presuntuosi. Ora l’amministrazione comunale cosa farà? La cultura dichiara che il suo progetto è sbagliato, la città ha detto chiaramente che rivuole semplicemente il suo teatro e non quella cosa lì. Saranno capaci di prenderne atto? Non sono un uomo di destra, ed anzi penso che quella parte politica al potere produrrà solo dei danni. Ma forse sarà proprio la destra a ripristinare la legalità, dopo aver visto un ministro come Veltroni emettere tre decreti in tutta fretta per eludere la legge Merloni sulle regole degli appalti. Ora bisogna appunto ripartire da zero con un bando di concorso europeo, che dovrà portare alla ricostruzione del teatro così com’era”.

    E’ invece di destra, ma egualmente contento, il consigliere comunale di An Gioenzo Renzi: “Sgarbi ha ripetuto quello che stiamo dicendo da anni. Ravaioli parla di progetto ’condiviso’. Ma da chi? Forse è condiviso da lui e da Melucci, non certo dai cittadini. Tant’è vero che siamo alla nona stesura e ancora non si vede la fine. Speriamo solo di non dover più spendere soldi pubblici in parcelle milionarie. Fra l’altro, l’ennesimo rimaneggiamento del progetto significa che l’ottava stesura non era affatto un progetto esecutivo, come ce lo avevano voluto presentare in consiglio comunale. La verità è che ormai la questione del teatro è diventata ideologica, proprio come sul caso dell’anfiteatro. Non si tratta più di discutere un’ipotesi progettuale, ma di conservare degli assetti di potere consolidati”.

    Più prudente la valutazione di Rosita Copioli, anche lei da anni impegnata nella battaglia sul teatro: “Conosciamo il personaggio Sgarbi ed il sui piacere nel dichiararsi per posizioni clamorose. Che come idee possono essere condivisibili, però c’è anche l’aspetto sostanziale delle cose, la pratica, giunti a questo punto cosa facciamo? Ripartiamo da zero con un bando europeo? Ho l’impressione che la vicenda si complicherebbe ancora di più. E intanto passerebbero gli anni un poco alla volta, invece, eravamo giunti ad introdurre quelle modifiche al progetto originario che avrebbero consentito di salvaguardare quanto più possibile l’idea progettuale del Poletti. Meglio un recupero filologico fatto con intelligenza che ostinarsi lungo una strada non percorribile. Non c’è più tempo per i ripensamenti e gli esperimenti. Abbiamo bisogno di un teatro e nell’attesa abbiamo già sprecato troppi anni”.

     

    [LA VOCE, martedì 19 giugno 2001].

  • La Voce: "Dov'era com'era alla riscossa" [19-6-2001]
  • La Voce: "Il ciclone Sgarbi sul Galli" [18.6.2001]
  • Sgarbi: "Com'era e dov'era non si discute" [10.7.2001]

    Sgarbi si mette le mani nei capelli

    dal Tempio a S.Colomba, dal ponte all’anfiteatro una severa bocciatura

     

    Della linea tutto sbagliato, tutto da rifare. Una bocciatura dietro l’altra nel tour di ieri a Rimini del sottosegretario ai beni Culturali Vittorio Sgarbi. Che comincia alle 11.30 con un sopralluogo al Tempio e successivo vertice in prefettura. Pollice verso di Sgarbi, che ha come interlocutori lo studioso Rimondini e l’antiquario Balena, per il nuovo altare maggiore in pietra. «Va eliminato e sostituito con uno più leggero, quasi trasparente». Scuote la testa il vicario mons. Amati, che arriva a ipotizzare un caso diplomatico nei rapporti Stato - Chiesa facendo osservare che l’altare risponde ad esigenze liturgiche e non meramente estetiche.

    Poi Sgarbi, con il suo seguito, fa visita a un affresco del Duecento in via San Michelino in Foro e decreta la necessità di un restauro. Si sposta in piazza Tre Martiri e boccia l’«asola» archeologica. Si infila dentro palazzo Farina, d’angolo fra via Tempio Malatestiano e piazza Cavour, per verificare il progetto di restauro. Entra nella sala delle colonne dell’ex teatro e trova «allucinanti» le balaustre in acciaio appena realizzate, spazzando via quelle originali in ferro che c’erano. Visita anche il cantiere del teatro dove una volta c’era la palestra. Esce e chiede ragione di chi abbia dato il permesso di fare il palazzo con la facciata in specchio che dà sulla piazza Malatesta. Svolta l’angolo e chiede ragione del progetto già licenziato dal Comune, per trasformare, con un immobile a fianco, in residenza l’ex cattedrale di Santa Colomba. «Un progetto da fermare». Un centinaio di passi ed entra nella Rocca Malatestiana. Non parla Sgarbi, ma i suoi consulenti che ha a fianco e che stroncano l’intervento di restauro. All’uscita, Sgarbi prende sottobraccio il vice-presidente della Fondazione Carim, Alfredo Aureli. Impossibile conoscere il senso del colloquio. Tutti in macchina al ponte di Tiberio dove il consigliere comunale di An, Gioendo Renzi, fa vedere a Sgarbi la diga a mare. Il sottosegretario assicura che chiederà ragione di essa. A suo giudizio, comunque, va tolta di mezzo. Ultima tappa del tour, durato più di 6 ore, senza sosta, l’Anfiteatro, dove Renzi mostra all’onorevole il famigerato muro abusivo di cemento realizzato nel bel mezzo del monumento romano. Sgarbi, e non per vezzo, si mette le mani nei capelli: «Mamma mia…».

     

    [Silvano Cardellini, Sgarbi si mette le mani nei capelli, Il Resto del Carlino, cronaca di Rimini, martedì 10 luglio 2001]

     

     

    Teatro Galli, il sottosegretario: Decide il ministero

    ‘Com’era e dov’era, non si discute’

    «L’unica scelta per la ricostruzione del teatro è quella del ripristino. Non si discute», taglia corto il sottosegretario ai Beni Culturali Vittorio Sgarbi. «La linea del ministero è quella del restauro. Non c’è mediazione che tenga». Schierato per il Galli com’era e dov’era Sgarbi. Che dice di non capire perché il Comune intenda perseguire un’altra strada. «La posizione che conta, quando ci sono di mezzo monumenti, è quella del ministero. Il Comune sarà anche proprietario dell’immobile, ma l’intervento su un edificio di interesse storico appartiene solo a noi». Inutile avanzare obiezioni. «Se una Soprintendenza si è espressa su una scelta diversa, vuol dire che tale Soprintendenza non è in linea con il ministero». Domanda: ma il Comune ha già speso 5 miliardi in progetti. Replica: «Qualcuno li dovrà restituire». Ma se, per caso, domani mattina il Comune aprisse il cantiere per ricostruire il Galli con un progetto diverso da quello del restauro? Risposta: «Procederemmo con gli arresti… dei lavori…».

     

     

    [Silvano Cardellini, Il Resto del Carlino, cronaca di Rimini, martedì 10 luglio 2001].