2015

2015

  • Ariminum (marzo-aprile 2015)
  • Ariminum, Attilio Giovagnoli: Occhio ai lavori del capolavoro del Poletti (1) [10-4-2015]

    Un’alta palizzata circonda in questi giorni il Teatro del Poletti. Più che a protezione, sembra essere stata alzata per impedire ai cittadini di sapere quali lavori si stiano facendo al teatro inaugurato da Verdi nel 1857.

    Il sindaco Gnassi ha annunciato più volte di voler riaprire il teatro entro il 2016 e ha manifestato la volontà di archiviare una vicenda vergognosa che si protrae dal dopoguerra. Dalla mancata copertura del tetto dopo i danni bellici, alle frettolose demolizioni di parti ancora integre dell’edificio negli anni ‘50, dalla scelta sbagliata del “concorso di idee” del 1985, agli enormi sprechi di denaro pubblico nei vent’anni successivi, fra parcelle, lavori avviati e interrotti, conseguenti la serie di otto - nove progetti del gruppo di architetti guidato da Adolfo Natalini.

    Nel 2000 la mobilitazione di migliaia di cittadini riminesi, con l’appoggiodi Italia Nostra, FAI, Comitato per la Bellezza Antonio Cederna, Rimini città d'arte “Renata Tebaldi”, e il sostegno di Federico Zeri, Claudio Abbado, Riccardo Muti, Maurizio Pollini, Andrea e Vittorio Emiliani, ha sventato il devastante piano di completamento del teatro, che prevedeva una protesi modernista saldata all'avancorpo neoclassico.

    Il capolavoro di Luigi Poletti, deve essere restaurato sulla base dei disegni del suo autore, conservati in oltre cento tavole autografe presso l’omonima biblioteca modenese:  èquello che hanno chiesto seimila cittadini riminesi sottoscrivendo l'appello e partecipando a un’appassionata manifestazione pubblica, formando una catena umana che ha abbracciato simbolicamente il teatro.

    Nel 2001 la svolta, con la visita del sottosegretario per i Beni Culturali Vittorio Sgarbi e l’affidamento del progetto di recupero al sovrintendente regionale Elio Garzillo.

    In questo spirito è stato predisposto il “progetto di restauro e di restituzione integrale, filologica e tipologica, della sala e del palcoscenico” (2004), studiato accuratamente, dalla Soprintendenza Regionale dell'Emilia Romagna. Garzillo si è avvalso della consulenza di un restauratore di chiara fama: l’architetto Pier Luigi Cervellati. Il progetto esecutivo del ripristino è stato consegnato gratuitamente al sindaco Ravaioli e recepito dall'Amministrazione comunale (nel 2005).

    Ma Ravaioli tergiversa per quattro anni. Nel 2009, su incarico dello stesso sindaco,un “gruppo di progettazione del Comune di Rimini”, opera cambiamenti arbitrari al piano di ripristino filologico, stravolgendo la sala neoclassica, con pilastri in cemento armato, per aumentarne la capienza, inserendo una torre scenica e proponendo due piani sotterranei di servizio sotto il palcoscenico a otto metri di profondità su un’area di 600 metri quadri.

    Dopo reazioni severamente critiche e di motivata protesta da parte di Italia Nostra e di Rimini città d’arte “Renata Tebaldi”la Direzione regionale per i Beni Culturali e il Ministero bocciano a ragione lo stravolgimento della sala e l’elevazione della torre scenica e prescrivono sondaggi archeologici sotto la platea e il palcoscenico (2010). Nella zona ci sono, fra strade romane, una domus romana con mosaici e reperti medievali e ottocenteschi. Attiguo al teatro c’è il fossato di Castel Sismondo opera del Brunelleschi.

    Nel maggio 2011 il Comune pubblica il bando per la ricostruzione del teatro. Sotto il palcoscenico sono inseriti ancora i due piani sotterranei, che debordano dal perimetro. La costosa struttura in cemento armato, che distrugge le parti ottocentesche del sottopalcoscenico, lede una strada romana e invade l’area di Castel Sismondo (protetta da un lungimirante vincolo ministeriale del 1915), ottiene un incredibile via libera dal Direttore regionale per i Beni Culturali Carla Di Francesco. Si apre così una grossa falla nella linea della tutela, mentre il progetto Garzillo – Cervellati avrebbe rispettato e valorizzato totalmente l’area archeologica, senza rinunciare alla funzionalità moderna del teatro.

    Nel 2013, a sondaggi in corso e dopo ulteriori ritrovamenti sotto la platea (si parla di un vasto edificio di età imperiale) si assegnano gli appalti.

    Nel 2014 iniziano le demolizioni delle strutture ottocentesche sotto il palcoscenico mentre si procede alla realizzazione attorno al perimetro esterno delle invasive strutture in cemento armato di cui sopra. Attualmente (marzo 2015) le medesime strutture sono state modificate e rinforzate con altro cemento armato e si sono demolite le parti murarie costruite negli anni ’50, quando l’edificio fu destinato prima a fiera e poi a palestra.

    In questa prospettiva le incognite sul teatro sono notevoli.

    La giunta Gnassi ha la lodevole intenzione di liberare piazza Malatesta dal parcheggio di auto che soffoca il castello, realizzando “un giardino urbano” utilizzabile come luogo di spettacoli.

    Perciò si vorrebbe modificare il retro del teatro per inserire un’arena all’aperto in piena area archeologica sopra le strutture di Castel Sismondo, rispolverando l’obsoleta idea di Natalini del teatro bifronte del 1985. Ciò svilirebbe il teatro e il castello. Meglio seguire le indicazioni del grande urbanista  Leonardo Benevolo, che nel P.R.G. del 1993, intendeva realizzare un’area archeologica e ripristinare le mura e il fossato del castello valorizzando l’opera del Brunelleschi.

    Altra incognita riguarda i lavori al foyer del teatro dove dagli anni ’90 le operazioni sono affidate ad alcuni architetti del gruppo Natalini, che hanno realizzato bagni ricavati nei salotti neoclassici e lavorato alla “sala prove” nel sottotetto della sala Ressi. L’unico segno visibile è la recente apertura di una porta laterale su via Poletti, ottenuta demolendo l’incorniciatura intatta di una finestra e del muro sottostante.

    Ma l’incognita maggiore riguarda il ripristino della sala a palchi del teatro. Il progetto Garzillo – Cervellati, fatto proprio dal Comune e messo a bando, prevede un restauro modello, condotto da esperti restauratori, attuato artigianalmente con l’impiego di materiali originali previsti dal piano esecutivo del Poletti, quali il cotto, gli stucchi, le dorature, le diverse qualità di legno per garantire la notoria eccellente acustica e soprattutto avvicinarsi il più possibile all’alto valore estetico raggiunto dal grande architetto neoclassico. Per la direzione lavori occorrono competenza, esperienza e sensibilità. Chi porterà a termine un compito così delicato?

    Auspichiamo che la filosofia del restauro pervada la ricostruzione del teatro e sia il punto di riferimento costante in chi lavora a questa impresa attesa da decenni dalla cittadinanza.

    Come è avvenuto egregiamente di recente, con il restauro del pianoforte viennese, che Verdi suonava a Rimini durante le prove di Aroldo nel 1857, così il Comune provveda a restaurare il grande sipario storico di Francesco Coghetti, dipinto nello stesso anno, e considerato fra i più belli d’Italia. 

     

    Rimini città d’arte “Renata Tebaldi”

    [Ariminum, Anno XXII – N.2 – Marzo – Aprile 2015]

  • Ariminum, Attilio Giovagnoli: Occhio ai lavori del capolavoro del Poletti (2) [10.4.2015]
  • Ariminum, Giovanni Rimondini: Il Teatro del Poletti. Bellezza Assoluta (1) [10.4.2015]
  • Ariminum, Giovanni Rimondini: Il Teatro del Poletti. Bellezza assoluta (2) [14.4.2015]
  • Ariminum, Giovanni Rimondini: Il Teatro del Poletti. Bellezza assoluta (3) [10.4.2015]

    BELLEZZA ASSOLUTA

    Il Teatro di Luigi Poletti 

    di Giovanni Rimondini

     Luigi Poletti (Modena 1792 - Milano 1869), l’ultimo dei grandi architetti pontifici, è stato per lungo tempo svalutato dagli storici dell’architettura che criticavano soprattutto la ricostruzione della Basilica di San Paolo, che giudicavano elegante, “ma fredda”, mentre erano in genere meno duri nei giudizi sui tre teatri, quello di Terni - non più esistente -, di Fano - ricostruito - e soprattutto di Rimini. Dagli anni ‘70 del secolo passato il giudizio sull’architetto è cambiato ed è tornato ad essere positivo come quando il Poletti operava nella Roma di Gregorio XVI e di Pio IX. Della poetica del Poletti, del suo linguaggio poetico, una forma di classicismo che viene definita “Purismo” per la scelta di forme classiche eleganti scelta dalla tradizione ellenica, ci siamo occupati Attilio Giovagnoli e lo scrivente per il progetto di Vittorio Sgarbi e del Soprintendente regionale Elio Garzillo, attuato da Pier Luigi CervellatiAl Poletti interessava che il suo pubblico sapesse valutare e gustare le forme delle strutture scelte, che disegnava con cura meticolosa, e metteva in opera nei suoi progetti. Voleva che fossero ammirate fin nei dettagli. Guidò pertanto la mano di Genesio Morandi nella pubblicazione di un testo sul teatro uscita nell’anno dell’inaugurazione 1857.

     I greci, la colonna, i capitelli e le decorazioni.

    Un capolavoro del Poletti promette bene in fatto di emozioni estetiche, che l’architetto si preoccupa di far scoprire al suo direttore dei lavori, Giovanni Benedettini e ai suoi interlocutori dell’amministrazione riminese. Per cominciare, le sue fonti sono i più bei templi dell’Ellade: il tempio di Atena a Priene per le colonne ioniche del primo ordine. Per creare una colonna era necessario un disegno complessivo di quelli che sapeva fare lui, poi un paio di profili di capitello in grandezza uno a uno, e ancora un modello di gesso, infine l’architetto permetteva che si lasciasse pure la traduzione in pietra d’Istria - ma per risparmiare si usava, di nascosto, anche il calcare di San Marino della grana più fine - a Liguorio Frioli, scalpellino e scultore con la bottega a Rimini.

    Un edificio si guarda come si ammira un statua, girandogli intorno e cercando effetti previsti dall’autore nelle varie fasi del movimento, nel diradarsi e nel sovrapporsi delle colonne e delle altre masse. Certo la colonna è il “punto di sella” di un edificio classico, cioè il punto di contatto della chiarezza della coscienza e delle emozioni profonde dell’inconscio. Il Poletti ha concentrato tutto il suo lavoro cosciente e le sue emozioni profonde nella creazione della colonna. E il capitello è rispetto alla colonna quello che il viso è rispetto al corpo. Bisogna guardarlo di fronte, di profilo, di tre quarti… come si prova piacere guardando a un bel corpo e a un bel volto, così si hanno intense emozioni estetiche girando intorno a un bell’edificio.

     

    “Il contornare del Poletti è magnifico”.

    Guardate alla facciata in posizione “di maestà”, cioè di fronte, e poi al profilo o contorno della facciata, non è banalmente verticale, ma ha delle rientranze e delle sporgenze, come il profilo di una testa. L’esterno dell’edificio segue un’ideale linea obliqua piramidale, le varie parti si restringono verso l’alto. Al contrario, i profili dell’interno del pozzetto si aprivano a catino verso il grande velario che copriva con la sua curva misteriosa, preparata dal Poletti in segreto, con e sue mani, insieme ai carpentieri. Anche i profili orizzontali, i rilievi delle modanature si presentavano in diverse prospettive all’avvicinarsi e all’arretrare.

    Tanto splendore nella ricostruzione dell’interno rischia di essere banalizzato in carton gesso dalle ditte che vincono gli appalti con eccessivi ribassi. Per avere il meglio, bisogna invece trovare un serie di artigiani specializzati, come s’è fatto per la ricostruzione della Fenice.

     

    L’iconologia: un tempio di Apollo.

    In alto sul piccolo frontone - o timpano, ossia triangolo - due Grifoni e una Cetra. I grifoni sono animali fantastici, dell’epoca del caos delle forme - l’epoca dei sogni - parte leone e parte aquila, nei racconti mitologici custodivano i tesori di Apollo. La Cetra, inventata dal giovane Ermes, che i Romani chiamavano Mercurio, indica le competenze musicale e poetica del dio.

    Il Poletti aveva disegnato un frontone grande, lungo quanto la larghezza della facciata, e al suo interno, una composizione di statue e bassorilievi con Apollo, le muse e altri personaggi. Ma a farlo restringere era intervenuto il cardinale legato, piccato perché il notabile Audiface Diotallevi l’aveva scavalcato facendo intervenire le sue conoscenze romane del governo centrale. Il frontone rimpicciolito comunque manda il messaggio iconologia principale: siamo di fronte al tempio di Apollo dio della musica e della poesia. 

    La facciata del teatro è in piena luce, e si fa vedere al meglio, la mattina presto quando riceve i raggi del sole, poi nella tarda mattinata è già in ombra. La luce notturna ai tempi del Poletti - quando non era ancora in uso l’impianto del gas per l’illuminazione pubblica, con i suoi candelabri esterni, sotto la loggia - era riservata all’interno e filtrava dal portico e dalle logge superiori.

    Non era molto intensa, come l’illuminazione a cui siamo abituati, e quindi sfumava le forme, che comunque venivano percepite da un occhio abituato all’oscurità. Oggi l’illuminazione forte dal basso, mettendo in risalto il sotto delle strutture orizzontali, ha un effetto da film dell’orrore, come l’illuminazione dal basso di una faccia.

    Diceva Michelangelo che bisognava avere le seste - ossia i compassi - nell’occhio. E’ vero per giudicare e gustare un edificio classico bisogna “vederne” le figure geometriche sottese, saper valutare le proporzioni modulari geometriche, antropomorfe e cosmiche.

    Giovanni Rimondini

     

    Note:

    (1) Attilio Giovagnoli, Giovanni Rimondini, Documentazione per il ripristino filologico del teatro polettiano di Rimini, una     copia in Gambalunga.

    (2) Genesio Morandi, Il teatro di Rimini (1857), a cura di Giovanni Rimondini, riedizione di Giovanni Luisè, Rimini 2000.

    (3) Silvia Vezzardelli, Io mi lascio cadere. Estetica e psicoanalisi, Quodlibet, Macerata 2014. 

     

    [Ariminum, Anno XXII, N.2, Marzo – Aprile 2015]

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