Vittorio Emiliani: "Il teatro finalmente ritrovato" [Il Sole 24 Ore, domenica 14 ottobre 2018]

IL TEATRO FINALMENTE RITROVATO

 Di Vittorio Emiliani

«E venne la sera del 16 agosto “prima” dell’Aroldo. Rimini rigurgitava di forestieri. Ritratti di Verdi erano appesi alle vetrine de’ negozi, ai muri, alle finestre dovunque: sulle cantonate a lettere staccate si leggeva W. V.E.R.D.I. per opera del Comitato Nazionale. L’Aroldo ha fatto furore». Così uno storico locale per l’apertura, nel 1857, del Teatro Comunale di Rimini ancora papalina: «magnifica fabbrica del chiaro architetto comm. Luigi Poletti (…) Così ricco di belle forme, così vario e ameno per fregi, indorature e dipinti che non può darsene un’idea in poche parole…».

Il 28 dicembre 1943 in uno dei tanti bombardamenti della “magnifica fabbrica” rimangono in piedi ingresso e foyer su piazza dell’Arengo pure ferita. Liberata nel ’44, la città risulterà distrutta per il 75 per cento. La platea del Teatro Vittorio Emanuele II poi definitivamente viene cancellata. Il Pci sarà per decenni col Psi in maggioranza, e però a sinistra tanti rifiutano il ripristino di una “teatro borghese e aristocratico”. Rimini gradualmente si rialza. Non il suo teatro. C’è chi vuole una sala moderna, con tanti posti, e chi invece chiede di ripristinare lo splendido teatro di Luigi Poletti, autore (ha studiato a Roma e conosciuto Antonio Canova) di due altre mirabili sale, a Terni e a Fano, il luminoso Teatro della Fortuna (1863), sfondato nella caduta della Torre Civica fatta saltare dai tedeschi in fuga. A Fano ci vorranno cinquant’anni per ricostruirlo com’era e dov’era. A Rimini ce ne sono voluti settantacinque per una operazione simile, dopo tanti costosi inutili progetti. Però il 28 ottobre prossimo, compleanno di Luigi Poletti, riapre finalmente questo Teatro, già Vittorio Emanuele II, dal 1947 dedicato ad Amintore Galli, critico e musicista dell’entroterra riminese anima della casa musicale Sonzogno e autore, fra l’altro, del popolarissimo Inno dei Lavoratori, versi di Filippo Turati «Su compagni in fitta schiera» che gli sottrasse la melodia da lui scritta in origine per una società ginnica milanese. Galli peraltro aveva combattuto con Garibaldi a Bezzecca.

Le traversie saranno infinite. Nel 1955 un concorso per una sala stile-cinema da 1200 posti. Non passa. Nel piano regolatore generale di Giancarlo De Carlo dei primi anni ’60 viene ficcato dentro un centro commerciale, come se non stesse fra l’armoniosa piazza del duecentesco Arengo da un lato e il maestoso Castelsismondo di Filippo Brunelleschi dall’altro. Negli anni ’80 l’architetto Adolfo Natalini sforna vari costosi progetti: l’ultimo viene fellinianamente sbeffeggiato come “teatro–culone” perché la sala cementizia sporge, pesantona, dietro l’avancorpo intatto. E lì finisce affossato.

Nel 1983 però fondano il primo comitato un gruppo di cittadini appassionati come l’avvocato Pietro Spadaro, lo storico dell’arte Giovanni Rimondini e l’allora laureando al DAMS, Attilio Giovagnoli che per la tesi ha studiato Luigi Poletti alla Biblioteca di Modena dove sono conservati centinaia e centinaia di disegni di dettaglio del teatro. Nel 1984 il sindaco Massimo Conti annuncia però un concorso di idee che coinvolge il teatro, la piazza e Castelsismondo. Lo attacca, polemico, anche Federico Zeri sulla «Stampa». Mentre diecimila riminesi firmano un appello per il ripristino della sala del Poletti. Non desiste. A questo punto Giovagnoli, Rimondini, e altri riescono a costituire una associazione ad hoc, vi aderiscono subito la grande Renata Tebaldi (si è ritirata a San Marino e la presiederà a lungo), Claudio Abbado, Gianandrea Gavazzeni, Riccardo Muti, Carlo Maria Giulini, Riccardo Chailly, Maurizio Pollini, Carla Fracci, Anna Caterina Antonacci, Franco Corelli, Leonardo Benevolo, Vezio De Lucia, Cesare Garboli, Italia Nostra, Comitato per la Bellezza, Bianchi Bandinelli e tanti altri. Si va oltre la protesta: l’architetto bolognese Pier Luigi Cervellati, che ha restaurato filologicamente, anni prima, l’arioso, Teatro Rossini di Lugo (ora attivissimo), offre gratis un progetto storicamente rigoroso di recupero della perduta sala del Poletti, ritenuto da una specialista, Anna Maria Matteucci, “il maggior architetto teatrale italiano dell’epoca” tardo-neoclassica (curiosamente anche esperto di acquedotti, di ponti e di impianti effimeri per grandi feste pubbliche).

Cervellati coordina col soprintendente Elio Garzillo il progetto. Che però ancora non passa nonostante un costo decisamente più basso (18 milioni di euro) rispetto ai concorrenti “moderni”. Siamo nel 2005, settant’anni secchi dalla fine della guerra. Il piano viene lasciato nel cassetto per alcuni anni fino a quando il sindaco Alberto Ravaioli non incarica i tecnici comunali di rivederlo a fondo e ne esce un progetto che rialza il tetto di qualche metro, mette i camerini nel sottosuolo (area archeologica), altera la sala del Poletti eliminando il muro semicircolare della cavea e inserendo pilastri per guadagnare posti in platea: costo 29 milioni, 11 in più. Altre fiere proteste che riducono quei cambiamenti in peggio. Allora il sindaco Andrea Gnassi sblocca i lavori. Certo, le strutture sono di cemento armato, come i muri laterali, niente mattoni neppure per le 20 colonne del peristilio (e l’acustica?), però il tutto ricoperto da gesso e stucco, o rivestito di mattoncini, il soffitto abbellito da cornici dorate. Insomma, alla fine, il colpo d’occhio è da applausi. Ma che fatica. Dal 28 ottobre funzionerà con 800 posti, aggiungendosi alle novantina di sale storiche della regione. Un record. Spero con musiche di Rossini il “più grande menabuono” del teatro.

 

[Il Sole 24 Ore, Domenica 14 ottobre 2018]