2014 Lavori al Teatro, il Comune di Rimini e il ripristino filologico...

Una storia italiana di errori e dissipazioni.

A settant'anni dalle bombe del 1943 non si vuole ricostruire com'era e dov'era lo storico Teatro "A.Galli" di Rimini. Per anni si sono buttati miliardi, ora si ignorano progetti e vincoli.

A settant’anni dai danni bellici del 1943, il Comune di Rimini pare intenzionato a ricostruire il neoclassico Teatro Galli inaugurato da Verdi nel 1857, mettendo fine ad una vicenda vergognosa per il patrimonio culturale del nostro Paese. Accantonato, a furor di popolo, il costosissimo e devastante progetto “modernista” del 1985 di Adolfo Natalini, modificato in un ventennio otto-nove volte, e costato alle casse comunali fra parcelle e liquidazioni 6 miliardi e 250 milioni di vecchie lire; è stata scelta la strada del ripristino filologico, sulla base dei disegni originali dell’architetto Luigi Poletti, indicata dal mondo culturale nazionale e dalle più importanti associazioni di tutela (Italia Nostra, F.A.I., Comitato per la Bellezza Antonio Cederna).

Su incarico dell’allora sottosegretario per i Beni culturali, Vittorio Sgarbi, la Sovrintendenza Regionale per l’Emilia Romagna (arch. Elio Garzillo) ha redatto (con la consulenza del arch. Pier Luigi Cervellati) un rigoroso piano di recupero filologico del Teatro del Poletti, che ha ottenuto il benestare del Comitato di settore congiunto del Ministero e l’ha consegnato ufficialmente al sindaco Alberto Ravaioli nel febbraio del 2005.

Ma la strada legale non piace all’amministrazione riminese, nel 2009, su incarico del sindaco Ravaioli, un “gruppo di progettazione del Comune di Rimini”, opera modifiche sostanziali al piano di ripristino filologico, stravolgendo la sala neoclassica, con pilastri in cemento armato, inserendo una torre scenica e proponendo ambienti di servizio sotto il palcoscenico a otto metri di profondità. La Direzione regionale per i Beni culturali e il Ministero impongono il ritorno al ripristino filologico per la sala neoclassica, vietano la torre scenica e prescrivono ulteriori sondaggi archeologici sotto la platea e il palcoscenico. Nella zona ci sono, fra strade romane in basolato, una domus romana con mosaici e reperti medievali e ottocenteschi. A ridosso del teatro c’è il fossato di Castelsismondo opera del Brunelleschi.

Nel maggio 2011, a scavi archeologici in corso, il Comune pubblica il bando per la ricostruzione del teatro. Nel sottosuolo sono ancora previsti, sotto il palcoscenico, i due piani sotterranei, che debordano dal perimetro del teatro e sconfinano per tre metri nell’area del Castello. La enorme “scatola di cemento armato” sotterranea distrugge tutti i reperti finora messi in luce nel cuore dell’antica Ariminum, danneggia la scarpata in laterizio dell’attiguo fossato di Castelsismondo e mette a repentaglio un magnifico platano plurisecolare. Sull’area interessata vertono tre vincoli di tutela: il primo (D.M. 4.3.1915) che salvaguarda Castelsismondo, è esplicitato da una mappa dell’area confinante col retro del teatro. Non è possibile costruire nulla entro quel limite che comprende il recinto esterno “promuralis”, il fossato, il ponte, la prima cinta e i bastioni piccoli, sepolti nel terreno; il secondo (D.M. 29.10.1991) ribadisce quello del 1915 a protezione dell’area archeologica della Rocca e del teatro; il terzo (D.M. 29.4.1992) rafforza i vincoli di legge sul neoclassico Teatro Galli che “presenta interesse particolarmente importante ai sensi dell’art. 1 della legge 1° giugno 1939 n. 1089 ed è, pertanto da intendersi sottoposto, ai sensi dell’art. 4, a tutte le disposizioni di tutela contenute nella legge stessa”.

Il Comune, che dovrebbe per primo tutelare la memoria e i monumenti della comunità nel rispetto delle leggi della Repubblica, calpesta i vincoli ministeriali nel reiterato tentativo di distruggere una zona antichissima della città. E, fatto ancora più grave, le Soprintendenze per i Beni Architettonici e Archeologici fanno finta di nulla autorizzando (15 luglio 2013) “la rimozione definitiva dei resti strutturali del teatro del Poletti e l’asportazione della pavimentazione [della domus romana] al fine di una conservazione presso il Museo Civico Archeologico” il tutto in accordo con un incredibile decreto (n. 66 del 31 maggio 2011) del Direttore Regionale per i Beni culturali, arch. Carla Di Francesco “con cui viene delegata alla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna l’emissione dell’autorizzazione alla demolizione e alla rimozione definitiva di strutture emerse nel corso di scavi archeologici indipendentemente [sic.] dalla loro datazione”. Non una parola sulla violazione dell’area del Castello.

C’è da chiedersi se i soprintendenti di Ravenna e di Bologna si siano resi conto che il progetto del Comune invade il fossato, che in futuro, la città potrebbe decidere di riportare alla luce. Auspichiamo che l’opinione pubblica fermi lo scempio. A Fano un altro bellissimo teatro del Poletti, semidistrutto dalla guerra, è stato filologicamente ricostruito sui disegni originali ed è felicemente in attività da un ventennio.

 

Associazione Rimini città d'arte "Renata Tebaldi"

Comitato per la Bellezza, Vittorio Emiliani, presidente, Vezio De Lucia, Luigi Manconi

Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli, Marisa Dalai, presidente

Italia Nostra, Maria Pia Guermandi, Giovanni Losavio, consiglieri nazionali

Rimini, 2 agosto 2013

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Ultima modifica: Lunedì, 13 Gennaio 2020 15:11

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