1999

1999

  • Adriano Cavicchi: "Rimini, in scena il teatro che non c'è" [20.2.1999]

    Rimini, in scena il teatro che non c’è.

    Una sontuosa facciata e dietro il nulla: storia di un restauro dimenticato dalla fine della II guerra mondiale

    Un comitato di cittadini e intellettuali si batte per la riedificazione integrale.

    “L’unico modo per riavere un gioiello d’arte, musicalmente perfetto e spendendo meno".

     

    Di Adriano Cavicchi

    La storia recente del teatro di Rimini è costituita da intreccio di errori, inadempienze e scelte sbagliate che rischiano di far perdere definitivamente la memoria e la fruibilità di uno dei teatri a ragione ritenuto fra i più belli d’Italia. Costruito su progetto dell’architetto modenese Luigi Poletti fra il 1843 e il 1857, l’edificio venne inaugurato da Giuseppe Verdi in persona con la prima assoluta dell’Aroldo. Dopo meno di cent’anni di gloriosa attività, la struttura teatrale venne colpita nel dicembre del 1943, dalle bombe in modo non irreparabile. Sarebbero bastate poche centinaia di metri quadri di ondulato di lamiera per coprire i buchi del tetto della platea e del palcoscenico e impedire in tal modo lo sfacelo di una delle architetture teatrali più importanti della regione. Purtroppo i problemi degli ultimi anni di guerra, il disinteresse generale delle amministrazioni e la miseria di quegli anni, fecero sì che dopo le bombe il teatro fosse preda al saccheggio popolare. Ad evitare pericoli di crolli il Comune stesso provvide alla demolizione di ciò che avevano risparmiato le bombe. E pensare che, se le nostre informazioni sono esatte, la municipalità riminese aveva ottenuto l’assegnazione dell’allora Genio Civile dei famosi “Danni di Guerra” per restaurare il teatro. Solo la parte anteriore dell’edificio venne restaurata nel 1975 ricavandone un elegante atrio da adibire ad esposizioni e la soprastante sala per conferenze-concerti. A differenza di tante altre tipologie edilizie, i teatri, che per la loro natura sono soggetti ad incendi ricorrenti, possono legittimamente essere ricostruiti com’erano. Tutti i teatri sono stati più o meno “ricostruiti” a causa d’incendi o danni bellici. La Scala, la Fenice (prima dell’ultimo incendio) il San Carlo, ecc. hanno subìto danni più o meno gravi ma prontamente risarciti. Non si commette un falso quando abbiamo sotto mano e si rispettino i progetti originali. Anzi, si è potuto constatare attraverso l’esperienza, che quando si abbandoni il modello originale per imporre linee più nuove, il risultato è stato sempre fallimentare, in particolare sul piano acustico. Il bellissimo Regio di Torino (arch. Mollino) o il Carlo Felice di Genova (arch. Gardella) non hanno risolto il problema acustico. Il teatro, bisogna ricordarlo, è soprattutto un grande strumento musicale. Se si sbagliano le proporzioni acustiche il risultato sarà deludente. La stessa miglior sala da concerto esistente oggi in Italia, l’auditorium costruita da Renzo Piano al Lingotto a Torino per quanto di buona riuscita, non è confrontabile con quella di un medio teatro di firme Settecento o dell’Ottocento. Ormai l’esperienza c’insegna che è meglio avere un teatro Poletti “autentico”, ancorché ricostruito (si veda il teatro della Fortuna di Fano – sempre del Poletti – anch’esso danneggiato dalle bombe, ma finalmente ricostruito nelle sue antiche proporzioni con eccellenza di risultati acustici) che una costruzione nuova, sicuramente non musicale e certo non adatta né per l’opera né per la grande sinfonia. Una città come Rimini che per quasi sessant’anni di mancanza del teatro si è servita del cinema Novelli o, al massimo, dello spazio del Tempio Malatestiano (poco più di mille posti), che cosa se ne farebbe di un teatro con capienza di oltre 1200 posti? Della necessità di ricostruire il teatro del Poletti “com’era e dov’era”, e della capienza di 900 posti, è ben consapevole una schiera di studiosi di storia teatrale, critici d’arte e uomini di cultura. Sarà opportuno percorrere un po’ di storia per comprendere la situazione attuale e i conflitti che si sono creati fra l’Amministrazione comunale da un lato, che vorrebbe un edificio teatrale nuovo da ancorare alla facciata, costo previsto oltre settanta miliardi, e l’associazione “Rimini Città d’Arte” che difende la ricostruzione filologica dell’edificio teatrale del Poletti sulla base degli innumerevoli progetti esistenti, dal costo di poco meno di trenta miliardi, in parte rimborsabili dall’Unione Europea. Il conflitto tra “modernisti” e “restauratori” iniziò fin dal 1983 quando, anche per interessamento di chi scrive, si aprì un ampio dibattito sulla necessità di ricostruire il teatro. Sulla scia di quegli incontri, nel 1985 il Comune riminese bandì un concorso d’idee, poi vinto da Adolfo Natalini. Il Progetto premiato prevedeva grandiosi sbancamenti e costruzioni che violavano sia il piano regolatore di Leonardo Benevolo (che auspicava la ricostruzione filologica del Poletti) così come i vincoli archeologici e gli spazi di rispetto di Castel Sismondo, opera del Brunelleschi. Oggi, dopo varie trasformazioni, riduzioni e ripensamenti, il progetto Natalini – del quale l’autore stesso confessa di non aver preso in considerazione le possibili risultanze acustiche – minaccia di fare saltare per sempre l’idea della ricostruzione filologica del teatro “Com’era dov’era”. A questo punto vien da chiedersi perché nel caso del teatro La Fenice di Venezia le menti più illuminate d’Europa abbiano deciso di ricostruirlo esattamente com’era in tutti i suoi particolari, mentre a Rimini si debbano fare carte false per avere una specie di hangar a gradinate di cemento armato dalle potenzialità acustiche inesistenti. Se il Tempio Malatestiano fosse stato bombardato e lasciato al suo destino, che cosa avrebbe perduto la cultura mondiale (e non solo Rimini)? Oggi la non ricostruzione integrale del teatro (stranamente intitolato al musicista riminese Amintore Galli, a distruzione avvenuta, forse per merito di aver scritto la musica dell’inno dei lavoratori), fatte le dovute proporzioni, potrebbe avere la stessa valenza di una perdita culturale irreparabile. A ragione le istituzioni: Italia Nostra, Fai, Legambiente, Wwf si sono affiancate a sostegno del progetto ricostruttivo “Com’era dov’era” promosso da Rimini città d’Arte accanto a studiosi come Federico Zeri, Andrea Emiliani, Ezio Raimondi, Renato Barilli, Anna Maria Matteucci, Deanna Lenzi, Bruno Zevi e a musicisti di fama internazionale come Renata Tebaldi, Anna Caterina Antonacci, Claudio Abbado, Franco Corelli, ecc. Anche Vittorio Emiliani, del consiglio di amministrazione della Rai, ha inviato al ministro per i Beni Culturali assieme al portavoce dei Verdi senatore Manconi, formale richiesta di sospensione di ogni lavoro che non sia mirato alla ricostruzione. Al di là dei valori storici e funzionali, ci sarebbe da ricordare la non comune statura dell’architetto Poletti il quale proprio a Rimini riuscì a realizzare una suggestiva contaminazione tra i modelli teatrali del Vanvitelli e del Pistocchi, con una forte componente neorinascimantale ispirata al Tempio Malatestiano dell’Alberti. Tale grandiosa concezione, se si perdesse questa testimonianza, andrebbe definitivamente cancellata.

    [Il Resto del Carlino, (sabato 20 febbraio 1999) (nazionale, pag. 19)].

  • Anna Tonelli: TAR; Anna Maria Matteucci: "Seguire l'esempio di Dresda" [26.1.1999]
  • Chiamamicittà: "Salviamo il nostro teatro", "La clonazione" il sindaco Chicchi [18.5.1999]
  • Corriere della sera, Muti e Abbado: «Salvare il teatro di Rimini» [9.6.1999]
  • Corriere di Rimini & La Voce: Natalini e Poletti a confronto [8.9.1999]
  • Corriere di Rimini, Giorgio Benzi: "Accanto alla Rocca può starci solo il Teatro del Poletti" [2.9.1999]
  • Corriere di Rimini, Paolo Fabbri in commissione Teatro; Giovanni Rimondini:"Il nuovo Teatro Galli niente gloria" [27.7.1999]
  • Corriere di Rimini: Candidati sindaci a confronto, Galli, deciderà la città [26.6.1999]
  • Il costo dei progetti per il Teatro Galli dal 1985

    Dal “Concorso di idee” per la ricostruzione del Teatro Galli e la sistemazione di piazza Malatesta del 1985, il gruppo vincitore di architetti, guidato da Adolfo Natalini, ha realizzato sette progetti in 14 anni. La sola progettazione è costata al Comune di Rimini 5 miliardi e 57 milioni di lire ai quali si è aggiunta la “buonuscita” di 605.857 euro. In totale le spese di progettazione per “Natalini e soci” ammontano a 6 miliardi e 250 milioni di lire.

    Il costo dei lavori al foyer dal 1997-2001 è stato di 5 miliardi e 340 milioni di lire.

    2009: Dopo essere stati liquidati, agli stessi "Natalini e soci" sono affidati i lavori all'avancorpo del Teatro Galli (foyer, scale, sala Ressi, sottotetto). Lo stanziamento previsto per ulteriori lavori al foyer: 5 milioni e 250 mila euro; parcella di 676.531 euro (A.Natalini, M.Bonizzato, M.Federico, G.Franchini, E.Mandelli, F.Natalini) per adeguare la progettazione esecutiva dell’ex foyer.

    2004: Ripristino filologico. Lo Stato finanzia con 374.000 euro il “Progetto di restauro e di restituzione integrale, filologica e tipologica, della sala e del palcoscenico del teatro polettiano" della Soprintendenza Regionale per i Beni e le attività culturali dell’Emilia Romagna. Il progetto (Garzillo-Cervellati) è presentato ufficialmente al sindaco Ravaioli e alla cittadinanza il 3 febbraio 2005 e messo a disposizione del Comune.

    2007-2008: Primo Progetto dell'Ufficio Tecnico Comunale (costo?). E’ stravolto il piano di ripristino filologico e in particolare la sala polettiana dove sono previsti allargamenti e pilastri in cemento armato. Il piano che prevede anche una torre scenica è ideato dal "Gruppo di progettazione del Comune coordinato dall'ing. M.Totti. Dopo le proteste di Italia Nostra e Rimini città d'arte il progetto è bocciato dalle Soprintedenze.

    2009-2010: Secondo Progetto dell'Ufficio Tecnico Comunale (costo?). Ritorna al ripristino filologico della sala del Poletti, ma presenta ancora la torre scenica e gli ambienti sotterranei sotto il palcoscenico. Le Soprintendenze bocciano la torre e prescrivono ulteriori sondaggi archeologici nell'area della platea e del palcoscenico dove i dirigenti dell'Ufficio Tecnico insistono per la realizzazione di due piani sotterranei a 8,5 metri in profondità per complessivi 1.200 metri quadrati.

    2010-2011: Terzo progetto dell'Ufficio Tecnico (costo?), messo a bando nel 2011. E' eliminata la torre scenica, permangono gli sbancamenti sotterranei, è previsto, nell'area vincolata di Castelsismondo, un muro sotterraneo di contenimento profondo 8,5 metri, per circa 28 metri di lunghezza e un metro di spessore.


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  • Il Messaggero, Corriere della Sera: "Muti, Abbado, appello al ministro per salvare il teatro di Rimini" [30.5.1999]
  • Il Resto del Carlino, 24 luglio 1999: La capienza. Adriano Cavicchi: "Ma nessuno pensa all'acustica" [24.7.1999]
  • L'Avvenire, Rosita Copioli: L'elefante di cemento schiaccerà il palcoscenico di Verdi? [16.9.1999]
  • La Stampa, Il Resto del Carlino, "Appello dei grandi della cultura per salvare il teatro di Rimini" [28.5.1999]
  • La Voce, Giovanni Rimondini: "Ha un senso parlare di falso in architettura?" [11.6.1999]

    Ha un senso parlare di “falso” in architettura?

    di Giovanni Rimondini

     Il principio modernista che condanna la ricostruzione di un edificio monumentale, semidistrutto o distrutto per cause naturali o belliche, si impone nella nostra cultura del dopoguerra insieme ai dogmi del realismo socialista. Si diceva: “ricostruire un edificio sia pure secondo il suo originale disegno è produrre un “falso”: l’edificio “autentico” o “autografo” una volta perduto va sostituito con un’altra opera “autentica”, non con una copia “falsa”. Questo principio si fonda su una concezione dell’autenticità - autografia dell’opera architettonica che è stata approfondita di recente e riformulata. Un’architettura non è “autografa” come una pittura o una scultura, opere d’arte che esigono che il “creatore” sia anche l’ “esecutore”, è autografa solo nel disegno mentre l’esecuzione viene affidata ad altri operatori (direttori dei lavori, capomastri, stuccatori, falegnami, ecc.).

    Le bombe e le decisioni dei “politici” hanno distrutto per sempre la sala del Teatro Polettiano “eseguita” dalle maestranze ottocentesche, dallo stuccatore Giuliano Corsini, dal pittore Michele Agli; non però l’opera d’arte creativa e veramente insostituibile, il grande sipario di Francesco Coghetti, la “parete” superstite della sala. E soprattutto non è andata perduta l’ “idea” di Luigi Poletti, il “disegno” conservato nella sua biblioteca modenese. Un’ architettura è come un brano musicale. Questa metafora, usata di recente da Paolo Marconi, sarebbe piaciuta all’Alberti. Se si conserva il disegno-spartito, un direttore e dei musicisti-esecutori sono in grado di riprodurla, di ri-eseguirla, come si fa con una sinfonia di Mozart. Su questo principio concorderebbe lo stesso Poletti, che, in previsione incendi, terremoti, ecc. aveva consegnato all’ingegnere comunale “tutti gli studi di dettaglio e d’insieme (e) anche i calchi per tutta la parte ornamentale” che si conservavano ancora nel 1926. Ha scritto di recente Valter Piazza: “L’opera superstite (del teatro Polettiano) non fu completata dall’architetto Luigi Poletti e subì diversi interventi nel passato”. Gli risponde, in una lettera, a Cesare Campori del 5-VI-1865 (inedita), Luigi Poletti: “Il Teatro di Rimini fu tutt’opera mia, sia nei disegni, nei modoni, modelli grandi al vero, … e nella condotta di tutti i singoli lavori, persino nel mobilio”. Valter Piazza è l’ispettore di zona della “Soprintendenza Integrata” (espressone di Pier Luigi Foschi) di Ravenna al quale sono affidati i monumenti o beni architettonici di Rimini, è un architetto, e quindi ha poca dimestichezza con la storia, così da non diffidare delle “veline” che forse arrivano dall’ufficio del sindaco Giuseppe Chicchi. Dal quale ufficio, per avvilire l’opera polettiana provengono le reiterate affermazioni sulla mancata autografia polettiana del teatro. per lo stesso motivo, i bagni del teatro Nataliniano sono stati collocati prima negli intercolunni degli scaloni, poi negli spazi aulici ai lati della sala delle colonne e della sala Ressi. Anche ad opera della “Soprintendenza Integrata” in dispregio del valore monumentale e del vincolo ministeriale che protegge la parte superstite del teatro.

    Giovanni Rimondini

    [Ha un senso parlare di “falso” in architettura?, La Voce, 11 giugno 1999]

  • La Voce, Giulia Vannoni intervista Pier Luigi Pizzi [11.6.1999]

    Fano – (Giulia Vannoni)

    Pier Luigi Pizzi è reduce dal successo ottenuto a Fano in occasione del festival barocco “A vagheggiar Orfeo” dove ha firmato ben due allestimenti, Gli amori d’Apollo e di Dafne di Francesco Cavalli, per il quale ha realizzato una splendida macchina scenica, e l’Orfeo di Antonio Sartorio, un’opera piena d’ironia sottolineata da Pizzi soprattutto attraverso i costumi. Tra i più famosi uomini di teatro italiani, largamente noto anche in campo internazionale, ha legato il suo nome prima come autore di scene e costumi, poi come regista, ad allestimenti per i più importanti teatri e festival. Ed è appena andata in scena alla Scala una ripresa della memorabile Armide di Gluck con cui era stata inaugurata la stagione 1996/97 del più blasonato ente lirico italiano. Pier Luigi Pizzi è un esperto di problematiche inerenti il restauro teatrale, non solo per la sua attività di scenografo e regista, ma anche per esperienza diretta.

    Sa che a Rimini esiste una polemica, in merito al teatro Galli, tra fautori della ricostruzione filologica e sostenitori di una revisione moderna. Cosa pensa in proposito?

    “Ne sono al corrente. Io sono favorevole al cento per cento alle ricostruzioni originali dei teatri, purché naturalmente esistano i presupposti per poterlo fare, ritengo che questa rappresenti sempre la strada giusta. Nel caso di Rimini, visto che esistono tutti i disegni dell’architetto Poletti, è opportuna una edificazione aderente all’originale. I teatri in passato venivano progettati con criteri molto particolari, tenendo conto delle esigenze del tipo di spettacolo per il quale erano nati, impossibili da riprodurre adesso”.

    Una ricostruzione filologica non sarebbe limitativa dal punto di vista delle possibilità tecniche nel caso do allestimenti di spettacoli modernamente concepiti?

    “E’ evidente che sulla ricostruzione vada innestato il discorso dell’aggiornamento tecnologico, soprattutto per quanto riguarda il palcoscenico e i servizi per la realizzazione degli spettacoli. Ma questo è un altro discorso che non ha niente a vedere con le caratteristiche della sala e delle condizioni di ascolto del pubblico. Per esse va recuperare la situazione originale”.

    Non sarebbe un falso storico basarsi esclusivamente sui disegni del Poletti, visto che a Rimini è rimasto ben poco della parte muraria originale?

    “Per carità, allora il mondo sarebbe pieno di falsi storici, perché ci sono tanti teatri danneggiati dalla guerra o bruciati negli incendi che invece hanno ritrovato il loro splendore attraverso ricostruzioni molto fedeli, senza scandalo di nessuno”.

    Lei ha già effettuato un’operazione di questo genere sul Teatro Dovizi di Bibbiena: come giudica i risultati del suo lavoro?

    “Mi sembrano piuttosto soddisfacenti. Abbiamo restituito alla scena un teatro che non esisteva più, era stato trasformato in un cinema, ultimamente poi era in totale abbandono. Gli abbiamo ridato un decoro e una qualità che aveva completamente perduto. Ma la cosa più importante è che risulta perfettamente funzionale dal punto di vista tecnico ed è possibile rappresentare qualsiasi tipo di spettacolo”.

    Cosa pensa del Teatro della Fortuna di Fano che ospita il festival barocco e rappresenta quasi il gemello del nostro Galli, appena un po’ più piccolo?

    “E’ bellissimo, magari ce ne fossero di teatri di questo tipo; sono molto contento di lavorarci. Nonostante ci sia un piccolo palcoscenico, è comunque un teatro in grado di ospitare qualsiasi spettacolo: naturalmente basta progettare allestimenti adatti e con una scenografia avveduta si riesce a organizzare lo spazio in modo conveniente”.

    [Intervista di Giulia Vannoni a Pier Luigi Pizzi, La Voce di Rimini, 11 giugno 1999].

  • La Voce, Giulia Vannoni: "Il Galli, una storia infinita" [11.6.1999]
  • La Voce, Giulia Vannoni: Il mistero della capienza [11.6.1999]
  • La Voce, Giulia Vannoni: Il Teatro visto dagli studiosi [11.6.1999]
  • La Voce, Giulia Vannoni: L'appello degli uomini di cultura [11.6.1999]
  • La Voce, Giulia Vannoni: L'atto di accusa di Rimini città d'arte (1) [11.6.1999]

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