2014

2014

  • "Il nuovo Galli è uno scempio" [19.4.2014]
  • Bimillenario di Augusto: "Due i ponti di Augusto a Rimini" [18.8.2014]

    Augusto, duemila anni dalla morte dell’imperatore:

    i due ponti romani di Augusto a Rimini

    “… L’imperatore romano che, forse più di tutti gli altri, nell’antica storia di Roma, ha modellato Rimini lasciando segni importanti. E non solo l’Arco d’Augusto, che resta comunque il più importante arco monumentale di età romana rimasto in piedi nell’Italia settentrionale. Molti riminesi spesso dimenticano che anche il ponte di Tiberio, di cui si festeggia il bimillenario, fu iniziato in realtà proprio da Augusto. Anzi, secondo non pochi studiosi il ponte andrebbe chiamato propriamente “ponte di Augusto”, nonostante sia stato poi Tiberio a completare l’opera. Ad Augusto si devono anche i lavori di miglioramento della via Flaminia e della via Emilia, la divisione della città in quartieri. Ma c’è un'altra grande opera, troppo spesso trascurata e ancora oggi abbandonata a se stessa: il grande ponte a otto arcate di San Vito. Osserva lo storico Giovanni Rimondini, che dell’età augustea si è occupato in diverse occasioni, che “il ponte di San Vito è il terzo grande segno di Augusto a Rimini. Un’opera maestosa, ma ancora poco considerata, soprattutto perché gli scavi sono stati fatti in anni recenti, ma che sta interessando studiosi e giornalisti che arrivano da ogni parte del mondo”. Quel ponte romano, per alcuni il vero luogo dove Cesare attraversò il Rubicone, ha già attirato a sé nell’ultimo anno l’attenzione di una tivù giapponese, di un giornalista inglese, di uno studioso americano. E allora perché non pensare prima o poi, di valorizzarlo come merita?

    [Manuel Spadazzi, Il Resto del Carlino, Rimini, (giovedì 18 agosto 2014) pag. 18]

  • Castel Sismondo è del Brunelleschi [2.4.2014]

    BRUNELLESCHI, ECCO LE PROVE

    Di Giovanni Rimondini

    Si può affermare con rigore storico e critico che Filippo Brunelleschi sia stato l’autore di Castel Sismondo, e non un semplice consulente, sulla base di prove documentali e letterarie, letture di storici dell’architettura e indizi concreti. Il grosso delle prove documentali lo ha pubblicato nel 1980 Gastone Petrini: “Filippo di ser Brunellesco va al Signore di Rimini, parte di Firenze 28 agosto e torna 22 ottobre 1438”. E’ il permesso di assentarsi dal cantiere fiorentino, concesso dall’Operaio del duomo. Il Petrini ha rintracciato l’itinerario dei “55 giorni malatestiani” del 1438, ma si affretta a dire che “i viaggi compiuti dal Brunelleschi per i Malatesta furono quasi certamente più di uno, è però questo un argomento ancora tutto da indagare”.

    Cosa venne a fare il Brunelleschi più volte a Rimini, e a Fano, a Cesena, a Pesaro e in altri castelli malatestiani? C’era bisogno che il più grande architetto italiano di tutti i tempi si distogliesse dal cantiere della cupola per semplici consulenze? Il suo biografo Antonio Manetti (1423-1497), matematico e architetto che lo conobbe e gli parlò, nell’operetta De viri illustri di Firenze, scrive: “Egli edificò uno castello, fortezza mirabile al Signore Gismondo di Rimino”. L’operetta del Manetti fu pubblicata da Gaetano Milanesi nel 1887. In nota al brano citato, il Milanesi avverte che ha chiesto lumi agli “studiosi riminesi”, la cui risposta perentoria è stata che il castello era opera di Sigismondo Pandolfo” assai intendente e pratico dell’architettura militare”. Probabilmente il Milanesi ebbe uno scambio di lettere con Carlo Tonini, che non vide la grande occasione di recupero di un’opera brunelleschiana per Rimini, e tentò una mediazione: “per mettere d’accordo le due contrarie opinioni degli studiosi suddetti e del nostro Manetti, si potrebbe dire che il Malatesta mandasse il disegno del castello al Brunelleschi, richiedendogli pareri e consigli”. Probabilmente gli “studiosi riminesi” avevano in mente l’affermazione di Roberto Valturio che Sigismondo era l’auctor del castello. Ma auctor va inteso all’antica, non significa architetto ma “committente”. In ogni caso, trattandosi di architettura ossidionale, è ovvio che il Signore, necessariamente esperto di fortificazioni nell’insieme e nei dettagli, avesse sempre l’ultima parola. Nella breve notizia del Manetti però c’è un’affermazione precisa: il Brunelleschi “edificò uno castello…”; non diede consigli, non offrì consulenze e simili.

    Si pone dunque il vero problema storico e critico della verifica di questa affermazione, il problema cioè della’autoria brunelleschiana di Castel Sismondo. “Nel 1436 il diciannovenne Sigismondo, Signore di Rimini e Fano, che aveva già al suo attivo prestigiose imprese militari, si trovava a Firenze… sin dal 17 marzo per la solenne inaugurazione della cupola da parte di papa Eugenio IV avvenuta la domenica del 25 marzo” prosegue Gastone Petrini , suggerendo la possibilità dell’incontro di Sigismondo col Brunelleschi prima dell’apertura del cantiere del castello riminese, ipotesi che aveva già avanzato il nostro Gumberto Zavagli (1968). Nel 1976 (e 1989), il famoso storico dell’architettura Eugenio Battisti, nella sua opera sul Brunelleschi, sul nostro castello afferma: ”Un nucleo centrale con la porta sembra autografo già al solo confronto con Malmantile, Staggia e Vico pisano, che ne sono l’immediato Precedente”. Il Battisti, storico dell’architettura, deve saper riconoscere il visus brunelleschiano, per così dire, di un’opera, come uno storico dell’arte sa riconoscere una tavola del beato Angelico, per fare un esempio. Peccato che le fortificazioni, attribuite al Brunelleschi, che servono al Battisti per i confronti, siano tutte medievali. Le fortificazioni di Pisa sono andate perdute, l’unica opera militare del Brunelleschi sopravvissuta, se si riesce a dimostrarne la paternità, è il nostro castello.

    In un mio piccolo contributo al passato convegno su Castel Sismondo, ho esibito due indizi che convergono nell’indicare il Brunelleschi come autore di Castel Sismondo. Sono indizi vitruviani; uno è prospettico, del tipo di prospettiva ad un unico centro visivo, euclideo e tolemaico, che venne inventata dal Brunelleschi nel 1414 circa, e praticata a Firenze dai suoi amici Masaccio e Donatello. Nella stessa Firenze, si badi, di Paolo Uccello e Lorenzo Ghiberti indagavano sistemi prospettici diversi da quello che verrà chiamato “legittimo”, a due coni visivi. Brevemente, ho ipotizzato che Brunelleschi, seguendo le prescrizioni di Vitruvio, avesse preparato per il castello di Sigismondo tre disegni: la pianta, l’alzato e la scenographia, ossia la veduta prospettica. Gli originali dei disegni sono andati perduti; sono rimaste delle riproduzioni, delle citazioni, dei riflessi sia pure approssimativi? Penso di sì: la scenographia, ossia la veduta prospettica brunelleschiana, il terzo disegno, caratterizzata da un preciso ludus euclideo dell’angolo di rimpicciolimento (una finezza prospettica che fa coincidere nella veduta le linee dei bordi del mastio con quelle delle due torri laterali) è ricostruibile, a mio avviso, a partire dalla medaglia di Matteo de Pasti con la veduta del castello, dalla rappresentazione del castello della formella del cancro di Agostino di Duccio e dalla rappresentazione dell’oculo di Piero della Francesca nell’affresco del Tempio, opere di diverso valore artistico comprese tra il 1446 e il 1551 che presentano lo stesso gioco prospettico. Il primo disegno si ricava dalla pianta del castello attualmente visibile. Analizzando la pianta apparentemente irregolare del castello mi è venuto di tracciare, aderendo alla parti verticali dell’ala di Isotta e del torrione verso il Marecchia, un perfetto quadrato, e fatto girare un compasso all’interno del quadrato ne è uscito un cerchio strutturante, cioè che delimita i siti delle torri esterne (quella distrutta probabilmente collima con il lato del quadrato). Si tratta di un corpo architettonico che va paragonato al corpo umano, inscritto, come indica Vitruvio, e come poi verrà rappresentato da Francesco di Giorgio e da Leonardo tra i tanti, in un cerchio e in un quadrato, che conferiscono ai corpi proprietà cosmologiche e metafisiche.

    Castel Sismondo, rocca ad quadratum et ad circulum, è stato ovviamente quanto meno disegnato in modo meno unitario da un solo architetto, che aveva letto il De Architectura di Vitruvio, e potrebbe essere il Brunelleschi. La sua veduta prospettica, testimoniata dalla medaglia, dal rilievo e dall’affresco, è riconducibile senza dubbio al grande fiorentino. A quelle date la prospettiva brunelleschiana era ancora una novità artistica per pochi estimatori. Tra questi pochi vi era Sigismondo Pandolfo Malatesta, che con raro intuito, che non ebbe nelle questioni politiche, scelse grandi artisti prospettici brunelleschiani per i suoi cantieri: Leon Battista Alberti e Piero della Francesca. I due indizi connessi, le ricostruzioni della pianta e della veduta prospettica, rimandano necessariamente all’architetto della cupola fiorentina. Mi rendo conto che il mio contributo può essere contestato: ci vorrà ancora tempo prima dell’affermarsi di un’agnizione unanime e indiscussa, cioè prima che gli storici dell’architettura e dei castelli, italiani ed europei, riconoscano unanimemente questa favolosa paternità. Bisogna intanto continuare gli studi e le ricerche, per ridare a Rimini l’unico castello rimasto del più grande architetto italiano ed europeo di tutti i tempi. Rimini sempre più città d’arte, si presenterà al mondo con il Castello del Brunelleschi e i Tempio dell’Alberti.

    Giovanni Rimondini

    [Giovanni Rimondini, Brunelleschi, ecco le prove, Corriere di Rimini, domenica 29 settembre 2002, pag.36]

  • Corriere di Rimini, Piazza Malatesta e il Teatro [18.7.2014]
  • Corriere di Rimini: "Viaggio al centro del Teatro Galli" [24.10.2014]
  • Corriere di Rimini: Il Comune assicura che i lavori andranno avanti [28.7.2014]
  • Corriere di Rimini: Piazza Malatesta cambia volto [9.10.2014]
  • Il Resto del Carlino 8 luglio 2014, la Cooperativa edile che lavora al Teatro in difficoltà [8.7.2014]
  • Il Resto del Carlino, 26 luglio 2014: Biagini, Il Galli è bloccato [26.7.2014]
  • Il Resto del Carlino, Mario Gradara: "Gnassi cambia i connotati al centro: "Via il mercato da piazza Malatesta" [9.10.2014]
  • Il Resto del Carlino: "Claudio Abbado, quelle vacanze a Bellaria" [21.1.2014]

    Claudio Abbado, quelle vacanze a Bellaria

    Il grande musicista e direttore d’orchestra passava intere estati in zona porto.

    Claudio Abbado, il grande direttore d’orchestra è morto ieri a Bologna. Aveva 80 anni. Era legatissimo a Bellaria, dove ha trascorso tantissime estati tra adolescenza e gioventù. Non tutti sanno che il maestro, col padre Michelangelo, grande violinista e direttore del Conservatorio di Milano, la mamma Carmela (apprezzata autrice di poesie e fiabe per bambini), e i fratelli Gabriele, Luciana e Marcello, ha trascorso per moltissimi anni mesi spensierati di ferie a Bellaria. “Si facevano precedere da un camion carico di strumenti musicali – racconta Marino Lazzarini, la cui famiglia, il padre Mario e il nonno Enrico, affittavano per 3-4 mesi la ‘casina’ di via Vespucci, all’epoca via al Porto, da fine anni Quaranta a inizio Cinquanta -. Pianoforte, violini, violoncelli. Suonavano tutti, a cominciare dal babbo. E, a tavola, fischiavano arie d’opera e sinfoniche mentre mangiavano. Me lo raccontavano mio babbo e mio nonno”. “Da noi per tanti anni prese alloggio la famiglia Abbado – scriveva la compianta Maura Calderoni, moglie di Mario Lazzarini, nel libro ‘Le uova della luna’-. Io ricordo la grande gentilezza di queste persone. Rimanevo molto colpita dall’inchino che faceva il padre nel salutarci e dalla calma e bontà della signora. Per il periodo delle vacanze solevano far precedere il loro arrivo da quello degli strumenti musicali. Nella nostra piccola casa risuonavano così per tutta l’estate le note dei loro violini e del pianoforte. Avevano quattro figli, allora ragazzini. Claudio, che divenne il celebrato direttore d’orchestra; Marcello, il più grande, anch’egli musicista e per tanti anni direttore del Conservatorio Rossini di Pesaro; la Luciana, sola donna, ed il più piccolo Gabriele, diventato architetto ed unico della famiglia a non essersi occupato di musica. Gabriele fu anche il solo che continuò a venire al mare a Bellaria coi suoi figli. Anche Marcello qualche anno fa tornò con la moglie per vedere dove aveva giocato da bambino… Mio marito, alcuni anni prima di morire, rivide anche Claudio. Fu un appuntamento emozionante, assieme ad alcuni altri amici comuni, a Pesaro nel 1984 (furono gli unici ammessi alla prova generale del ‘Viaggio a Reims’ di Rossini). Nonostante la sua illustre fama, Claudio era rimasto la persona semplice di sempre, proprio come Mario lo ricordava da ragazzo, nelle spensierate giornate estive passate a giocare assieme. Anche Claudio mostrò un ricordo ancora vivo, ricordando i nomi di alcune indimenticabili ragazze di Bellaria”. “A me Claudio, anni fa chiese se avevo notizie di “Severina per la quale avevo preso una cotta” – aggiunge Fulvio Vasini, nella cui casa estiva, sempre in via Vespucci, gli Abbado si trasferirono negli anni Cinquanta, perché più grande della ‘casina’ -. Era molto esuberante, simpatico ed estroverso. E gli piaceva fare scherzi. Una volta si è travestito da donna. In varie occasioni con noi del posto abbiamo scavato un buco sotto la recinzione per entrare gratis all’arena Astra. Ha anche passato una notte dentro, col maresciallo Semeraro, per schiamazzi notturni”. Abbado ha segnato la storia della direzione d’orchestra. Anni fa firmò anche un appello per il recupero filologico del Teatro Galli di Rimini. Ha lasciato tracce nelle menti e nei cuori di molte persone. Ti sia lieve la terra, Claudio. [Il Resto del Carlino, Rimini, del 21 gennaio 2014, pag. 14 (articolo non firmato)]

  • Il Resto del Carlino: "Sotto la platea del Galli pronto il Museo archeologico" (24.10.2014)
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    Torna l'incertezza sulla ricostruzione del Teatro Galli di Rimini che si attende dal dopoguerra. Tutte le attività in capo alla cooperativa Cesi sono sospese a partire dalla data odierna: 19 luglio 2014.

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